Se ho capito correttamente, Enrico Letta ha rinunciato all’idea di un’alleanza per scegliere quella della co-belligeranza. E’ una mossa disperata ma lucida, quella dell’uomo che in un edificio in fiamme valuta freddamente se ha più possibilità di salvarsi spalmandosi sul cornicione o saltando nel cespuglio di sotto.
E’ una scelta che non appassiona, ma che capisco perfettamente perché mira non a vincere le elezioni (cosa che evidentemente si reputa impossibile), bensì a “proporzionalizzare” il Rosatellum, per evitare che una coalizione del 45% conquisti il 75% dei seggi. Non è un obiettivo da poco.
Questo significa quindi rinunciare allo sforzo di costruire un programma condiviso o esprimere una scelta comune per la guida del governo, presentandosi nei fatti alle elezioni ognuno dei “co-belligeranti” per conto proprio, consentendo al PD di sottrarsi al “ruggito del criceto” di Fratoianni o al “gloglottio del tacchino” di Calenda, lasciando fuori solo M5S e Renzi.
Questo gioco spericolato, però, ha un presupposto e una conseguenza. Il presupposto – lo ha detto Letta con un linguaggio sfumato un po’ da sagrestia – è che chi si candida nell’uninominale non deve avere il paracadute nel proporzionale: servono personalità aggreganti, capaci di andare oltre il proprio bacino elettorale di partenza, che abbiano voglia di battere il collegio palmo a palmo.
La conseguenza è essere consapevoli che se il machiavello lettiano riesce, il prossimo Parlamento non sarà mai in grado di esprimere una maggioranza di governo coesa, sarà inevitabile un Draghi 2 (o qualcosa del genere) per almeno un paio d’anni e al primo punto ci sarà non solo la riscrittura della legge elettorale (per inciso – Ettore Rosato non è “friulano”, ma triestino, imparatelo signori giornalisti… il Friuli è provinciale e campagnolo, non siamo in grado di produrre tali cristallini talenti politici) ma anche la ricostruzione delle identità politiche e programmatiche dei partiti, il che sarebbe sempre ora.
Autore: Marco Cucchini (C)