Ed ecco l’equivoco, reso plastico dal documento della direzione di Art1, che annuncia l’ingresso nel “Registro delle Opposizioni” di Letta ma ribadisce “Bisogna evitare una campagna elettorale caratterizzata dalla contrapposizione fra centrosinistra e M5S. L’avversario è la destra”.
È una posizione babbana e priva di senso, tutta politicista e poco meditata perché in una competizione elettorale, gli avversari sono tutti quelli con i quali non sei in alleanza, soprattutto in una logica maggioritaria dove ogni voto conta, eccome se conta.
Ma questo inciso – francamente sciocchino – è lo specchio dell’equivoco che va avanti dal 2019: quello del “M5S forza di Sinistra” e di Conte “punto di riferimento di tutti i progressismi”. Nel 2019 PD e Art1 hanno deciso di sostenere il governo Conte 2 malgrado il Conte 1 fosse stato caratterizzato da scelte politiche di destra o di estrema destra, costantemente sostenute e rivendicate dal premier e votate disciplinatamente dagli allegri ragazzotti del MoVimento, al punto che la caduta di quel terrificante governo, lungi dall’apparire una liberazione, fu stata vissuta da Conte e dai suoi come un autentico psicodramma.
Quindi c’è stato il governo con il centrosinistra, prima volta nella storia repubblicana di un cambio radicale di maggioranza a premier invariato. Ora, si sa, PD e Art1 non sanno resistere alle sirene del governo e quindi si sono fiondati immediatamente a occupare i posti lasciati vuoti dai leghisti, accettando di governare in assoluta continuità e subalternità. Però questo non bastava, bisognava ammantare l’alleanza di un tono epico, di un valore politico assoluto che naturalmente non c’era e da qui il mito dei 5S grande forza progressista e di Conte descritto – a seconda dei giorni – il nuovo Moro, il nuovo Berlinguer o il nuovo Gramsci. E non importa se tutte le promesse non venivano rispettate, se sui territori le alleanze non si facevano, se nulla in Conte era sufficiente per qualificarlo poco più che un mediocre premier di coalizione, perché guai se la realtà interferisce con la narrazione, la sola lezione appresa dall’esperienza renziana.
Indimenticabili i “dopo Conte solo il voto” o “noi mai con Draghi”. E ora la difficoltà a spiegare la rottura e un’alleanza che tiene dentro la Gelmini e fuori Conte e la sua sporca dozzina. Sui social è un fuoco di fila, soprattutto tra i supporter di Art1, sconvolti per l’alleanza con Calenda e il ripudio di Conte, perché come fai ad abbandonare in questo modo “Il punto di riferimento di tutti i progressismi” per fare festa con la Gelmini e magari pure Toti?
Insomma, la grottesca narrazione è esplosa nelle mani non tanto di Letta – in fondo sempre freddo – quanto in quelle dei Bersaniani. Che avevano una strada lineare e maestra: fare il polo con il M5S ed essere coerenti con loro stessi.
Invece no, si alleano con A ma sperano che i voti li prenda B.
Autore: Marco Cucchini (C)