Sto coordinando una campagna uninominale. Il candidato è sostenuto al proporzionale da 4 forze (o debolezze) politiche. Due sono partiti veri, gli altri due invece, chi lo sa! Per una necessità banale cerco di contattarli ma mi imbatto in numeri di sedi nazionali ai quali nessuno risponde (c‘è la segreteria telefonica: “siamo chiusi per ferie, ritorniamo il 26 settembre”), pagine Facebook non aggiornate da mesi e siti nei quali manca la voce “contatti”.
Insomma, partiti finti, che però otterranno seggi veri. Quando – 32 anni fa – preparavo l’esame di Scienza Politica, dal capitolo “Partiti e Sistemi di Partito” firmato da Stefano Bartolini ho appreso due cose: a) i partiti esistono in quanto espressione di un bisogno della società, specchio di fratture socioeconomiche o culturali che talvolta affondano nel profondo del vissuto storico (la teoria dei “cleaveges” di Stein Rokkan) e b) i partiti hanno 6 funzioni essenziali: 1) alfabetizzazione e formazione politica delle masse; 2) rappresentanza istituzionale dei corpi sociali; 3) aggregazione delle domande settoriali in politiche generali; 4) strutturazione dell’offerta elettorale; 5) selezione e reclutamento del personale politico; 6) policy making.
È evidente che la connessione tra ”fratture” e rappresentanza è totalmente saltata e che delle 6 funzioni elencate solo la 4 e la 5 sono effettivamente svolte. Ma una società articolata e plurale quanto a lungo può rimanere pienamente democratica senza corpi intermedi che facciano da collegamento tra comunità e istituzioni? E se invece di tante chiacchiere su riforme pensate per rafforzare poteri monocratici si rimettesse al centro dell’agenda la ricostruzione della rappresentanza? Come scriveva tanti anni fa Gianfranco Pasquino, bisogna “restituire lo scettro al Principe” (cioè al Popolo, nel nostro caso).
Ma se il Principe dovesse ritrovarsi tra le mani lo scettro, poi saprebbe cosa farne?
Autore: Marco Cucchini (C)