La campagna elettorale è quasi finita e nessuno ha ancora chiesto il mio voto. Vivo nel centro storico di una città di 100.000 abitanti, punto di riferimento per un’area vasta che vale almeno il quadruplo eppure non ho visto nulla, tranne il materiale elettorale che ho fatto stampare personalmente.
Non ho ricevuto una lettera, nessuno mi ha dato un volantino, non sono stato invitato a un comizio, nessuno mi ha preso da parte per suggerirmi chi votare. Non un partito, ma neppure un candidato di collegio uninominale, vale a dire chi – più di ogni altro – dovrebbe incaricarsi di rappresentare il fantomatico “territorio”. Ad esempio, molto presumibilmente, il 26 settembre io sarò rappresentato da due (post)fascisti (Rizzetto e Ciriani). Chi li ha mai visti? Chi sa che faccia hanno. Poco male, si potrebbe dire, che faccia vuoi che abbiano… però il punto è un altro: il totale svuotamento del momento elettorale, che pure dovrebbe essere il cuore del processo democratico.
Sul territorio non succede nulla, ma al vertice non va meglio. Una campagna priva di idee, con qualche slogan buttato in aria, con una comunicazione essenzialmente basata più sul traffico di umori che sulla competizione di valori e programmi. Si è parlato più di Peppa Pig che di scuola. Si è parlato più di Ungheria che di Italia. Si è parlato più del 1922 che del 2022. Si è parlato più di migranti che di sicurezza sul lavoro. Si è parlato più dei voli privati di Renzi che di politiche ambientali concrete e sostenibili. Si è parlato più di presidenzialismo – cioè come rafforzare il potere di uno solo – che di rappresentanza democratica – cioè come rafforzare il potere di tutti.
E in questo clima stracco, depresso e demotivato vincerà – come inevitabile – la forza che rifiuta l’idea di democrazia come partecipazione in favore di una idea di democrazia come dittatura della maggioranza e la maggioranza guidata da un uomo solo. O da una donna, magari bionda e bassetta.
Autore: Marco Cucchini (C)