Dunque, dopodomani notte sapremo finalmente se il prossimo Imperatore del Mondo sarà ancora lo smilzo neretto con le orecchie a sventola e la parlantina fascinosa o il contraddittorio milionario emerso dalla Guerra Civile Repubblicana. In attesa di tutto questo, ripubblico nella sua quasi interezza un post del 2008, una piccola carrellata perfida su “quelli che avrebbero voluto ma non ce l’hanno fatta”….vale a dire tutti quei politici (a volte illustri, a volte scadenti) che si sono avvicinati alla Casa Bianca, ma non hanno mai potuto entrarvi, ne da presidenti e neppure da vice.
Volendo limitare la cavalcata dei ricordi al solo secondo dopoguerra, il primo nome che salta all’occhio è quello di Thomas Dewey. Ha corso come candidato repubblicano per due volte, nel 1944 e nel 1948. Nel 1944 venne sconfitto da Roosevelt, ma in fondo tutto ciò ci stava, visto che gli USA erano in piena guerra e FDR un presidente particolarmente amato e stimato. Ma il 1948 era il suo anno, non avrebbe potuto essere diversamente: dopotutto, il presidente in carica – Harry Truman – era parecchio impopolare e dopo 16 anni continuati di presidenze democratiche c’era una gran voglia di cambiare aria e tutti i sondaggi (che iniziarono a prendere piede proprio allora) davano nettamente avanti Dewey, più o meno come oggi danno nettamente avanti Barack.
Dewey era felice, nulla ormai sembrava fermare la sua corsa verso la Casa Bianca e stava già provando il discorso di insediamento, anche perchè i primi exit poll (maledetti exit poll!) lo davano vincente. Quando i quotidiani nazionali iniziarono a uscire in edizione straordinaria con il titolo “Dewey Presidente” o “Dewey batte Truman” fu tutto un fioccare di telefonate, congratulazioni, lanci di fiori e commozione, che stancarono tanto il neoeletto. Che andò a dormire, esausto ma soddisfatto di se…
Poi le cose cambiarono, i numeri smisero di essere così gentili e Truman riprese il vantaggio…i giornalisti – iene come sempre – si precipitarono a casa Dewey per sentire le reazioni “a caldo” del presidente non eletto…”Mio Padre, il Presidente, sta dormendo” disse con fare superbo il figlio primogenito ai giornalisti assetati di interviste. “E allora quando si sveglia gli dica che non è più presidente!” fu la replica di uno dei cronisti.
Di quella vicenda e del povero Dewey restano solo due cose: questa battuta e una foto di Truman ridanciano, mentre legge un quotidiano che strilla la notizia della sua mancata sconfitta!
Altro celebre sconfitto fu il democratico Adlai Stevenson. Come Barack proveniente dall’Illinois, come Barack un uomo di grande fascino personale, un liberal, un raffinato intellettuale e come Barack opposto ad un eroe di guerra: Eisenhower, meno colto e meno politico di lui, meno preparato e più capace di parlare all’americano medio. Stevenson venne sconfitto: non gli si perdonò l’ironia sottile (“Adlai, tutti gli americani intelligenti voteranno per te!” gli urlò un sostenitore…”Temo non basti, ho bisogno della maggioranza!” fu la risposta dell’incauto candidato), la sospetta omosessualità, lo snobismo culturale e l’aria perenne di colui che si candida per fare un piacere.
Barry Goldwater era un cattivo. Cattivo proprio. Candidato repubblicano nel 1964 contro Lyndon Johnson. Anticomunista quasi caricaturale, razzista, sospetto di legami con il racket del gioco, riuscì a vincere la nomination grazie ad una capacità di mobilitazione organizzativa non comune. Diceva quello che pensava, anche troppo. Infatti, la sua nota dichiarazione sul possibile utilizzo della bomba atomica (“dopotutto è un proiettile come un altro”) venne scaltramente utilizzata da Johnson, che produsse anche uno spot televisivo tanto famoso quanto perfido, che lasciava intendere che – con Goldwater presidente – i funghi atomici sarebbero spuntati un po’ ovunque. Goldwater morì 90enne, nel 1998, e fino quasi alla fine occupò il proprio seggio al Senato, lottando contro la deriva confessionale e bigotta del partito repubblicano e – in nome delle proprie posizioni anarcoidi e iperliberiste – combattendo qualsiasi intromissione dello Stato nelle scelte dell’individuo, giungendo ad esprimersi in favore delle droghe leggere e dei diritti gay, con la motivazione che “quando i nostri antenati abbandonarono l’Europa in cerca di libertà non lo fecero per trovare un governo che ti fruga sotto le coperte”.
Nel 1972, l’errore venne compiuto dai democratici. Il candidato scelto fu George McGovern. Troppo amico degli hippy, troppo pacifista, troppo liberal, troppo tenero verso il comunismo…se a tutto questo aggiungiamo che il suo candidato alla vicepresidenza (Thomas Eagleton) dovette ritirarsi dopo aver ottenuto la nomination perché la stampa scoprì che era stato sottoposto in tempi recenti ad elettroshock per problemi di natura nervosa (e – soprattutto – che McGovern non lo sapeva), si può immaginare perché quelle elezioni furono disastrose per l’Asinello, spazzato via dalla “corazzata Nixon”.
Le elezioni del 1988 bruciarono due candidati democratici in un colpo solo. Il favorito delle primarie – il fascinoso Gary Hart – era così convinto di avere la nomination in tasca da sfidare spavaldamente la stampa: “la mia vita è un libro aperto, seguitemi e scoprirete che non ho scheletri nell’armadio”. Infatti, gli scheletri erano seduti comodamente sulle ginocchia del senatore, dato che i giornalisti lo presero in parola, lo seguirono in massa e lo trovarono felice su uno yacht con la sua amante di turno, mentre la moglie si smazzava per la sua campagna elettorale. Fine corsa e fine matrimonio. Di quella vicenda, resta però la foto ricordo scattata allora, che ci mostra il senatore felice e la sua squinzia innamorata. Chissà se si vedono ancora…
Il secondo bruciato fu il vincente delle primarie, il governatore Michael Dukakis. Un piccolo, peloso e petulante governatore di origine greca, talmente spaventato dal sembrare un liberal dal cercare di spacciarsi per conservatore durante il dibattito televisivo con George Bush Sr. (“lei è liberal!” “no, lo giuro, non lo sono!”)… Talmente incauto dal diffondere una propria immagine promozionale con tanto di elmetto alla guida di un carro armato, che avrebbe dovuto rassicurare la destra sul suo patriottismo e invece ottenne solo di indispettire la sinistra. Talmente goffo dal rifiutarsi di diffondere le informazioni sul proprio stato di salute, dicendo che “sono affari privati”. E talmente inesperto dal farsi affiancare da un candidato vicepresidente (Lloyd Betsen) talmente preparato, talmente “presidenziale”, talmente affidabile e competente da far dire a molti autorevoli osservatori “ma non era meglio se candidavano lui?”, innescando così anche l’invidia del povero Dukakis nei confronti del proprio “runnig-mate“, il quale contraccambiava rivolgendosi a lui con malcelato paternalismo venato di disprezzo.
Contro il popolarissimo, amato, giovane, simpatico e pimpante Bill Clinton, nel 1996 i repubblicani mandarono un anziano eroe della II Guerra Mondiale, il senatore Bob Dole. In guerra aveva parzialmente perso l’uso della mano destra, rimasta semiparalizzata e stretta quasi a pugno ed era noto che – con notevole senso pratico – la usasse come portapenne.
Durante la campagna elettorale ci furono malignità e cattiverie sull’età, sullo stato di salute e sulle capacità motorie dell’anziano repubblicano. Il quale per l’entusiasmo di mostrarsi arzillo e atletico pensò bene di sporgersi un po’ troppo e franare – come Will il Coyote – sulla folla dei propri sostenitori. YouTube ci ricorda la vicenda.
Dello sconfitto del 2004 – John Kerry – non c’è molto da dire: troppo grigio e palloso, così come non ci sono particolari aneddoti sul due volte candidato indipendente Ross Perot, multibilionario non eletto perchè troppo ricco, con troppi interessi, troppo populista e troppo ambiguo politicamente. Dopotutto gli Usa non sono l’Italia.
Quindi l’ultimo cenno va riservato al signor Harold Stassen, che lottò per la nomination repubblicana per ben 9 volte, dal 1948 al 1992, senza mai riuscire ad ottenere alcun seguito, tranne che nella convention del 1968, quando due delegati – particolarmente di buon cuore – gli diedero il loro voto: uno del Minnesota e uno dell’Ohio.
Pochi, per battere Richard Nixon, che lo stesso giorno di voti ne ebbe 1238, vinse la nomination e 3 mesi dopo anche le elezioni presidenziali. Ma questa è un’altra storia, qui oggi si ricordano i perdenti.