Lo racconta oggi “la Repubblica“: alcuni atleti italiani sono tornati a casa, taluni con gli onori, altri a capo chino. Ma se l’entusiasmo della partenza è stato il medesimo, il viaggio del ritorno non lo è stato.
Le medaglie d’oro – ad esempio la Vezzali – hanno viaggiato in classe economica (tra il puzzo di riso alla cantonese e le gabbiette con i polli?) mentre i soliti calciatori – per capirci quella squadretta di mocciosi che ha fatto una magrissima figura in praticamente tutte le partite giocate – morbidamente adagiati in classe “business“. Perchè devono abituarsi fin da piccoli che non sono sportivi come gli altri, ma tanti Porfirogeniti ai quali tutto è concesso, permesso e perdonato.
Sembrerebbe un piccolo aneddoto pacchiano, uno dei tanti che caratterizzano il mondo del calcio, dove la cronaca (nera o rosa, a seconda dei casi) è sempre più presente del puro e semplice gesto atletico. Ma a me pare invece qualcosa di più: un’ulteriore conferma che viviamo in un Paese dove il merito non conta nulla, dove non è importante quello che fai, ma chi sei.
E finchè questo non cambierà, almeno un po’ e in tutti i settori, l’Italia non riuscirà a uscire dalle sue difficoltà ormai ventennali. Non so quanto ancora serva per capire che il tempo dei lustrini è finito e deve iniziare quello della fatica, del merito e dell’impegno. Individuale, senza aspettarsi che dall’altro qualcuno risolva tutto e senza prezzi da pagare.