Elezioni con il trucco

Elezioni con il trucco

Alla fine, tutto si può racchiudere in una domanda, una sola: a chi deve piacere la lista?

Liste_elettoraliLa domanda parrebbe avere una risposta semplice, direi ovvia: la lista deve piacere agli elettori, così la votano e il partito vince le elezioni. Fosse così facile… Anzi, potremmo dire che questo è l’ultimo dei problemi, se solo ci mettiamo ad osservare come PD, PDL e M5S stanno muovendosi per preparare il loro raffinato menù da offrire agli elettori, grosso modo a base di bolliti, fritture miste e cibo insipido ordinato via internet.

Il PD – favorito per la vittoria finale – ha scelto la via delle primarie sotto l’albero, cercando di cavalcare l’onda della competizione Bersani-Renzi che tanto successo di pubblico e critica ha ottenuto appena poche settimane fa. Al momento mancano le regole, ma circolano abbastanza bru bru sussurrati sotto voce, che ci fanno capire che la competizione prevista per il 29 dicembre sarà assolutamente chiusa, stante il vantaggio competitivo per gli uscenti e le “blindature” previste in favore di donne e territori.

Le “primarie” del PD – se ho ben capito – dovrebbero prevedere: una rappresentanza di tutte le province, cercando di garantire l’eletto in ciascuna di queste (il che significa – nella nostra regione – che su probabili 8 eletti tra camera e senato, già 4 sono virtualmente attribuiti). Dovrebbe inoltre essere garantito un 50% di elette donna (che non ci sono e quindi questo apre una chance per desperate housewifes che hanno il consenso di poche decine di persone, ma che con questi chiari di Luna potrebbe risultare sufficiente) e si considera una quota – probabilmente del 20% – di candidature “bloccate” a favore del Partitone nazionale (cioè, in FVG, diciamo 2 eletti certi). La parte aperta della competizione vedrà presumibilmente correre i parlamentari uscenti e quanti – ad esempio i consiglieri regionali – per una ragione o per l’altra non si candidano nell’istituzione di provenienza e cercano consolazioni romane, forti di una base elettorale rodata su area vasta. E quindi, tra tardo sessismi politicallycorrect, mistica del “territorio”, vantaggio competitivo per le gerarchie e solo 7 giorni di campagna elettorale fraccata tra Natale e Capodanno, come potrebbero emergere candidature libere? innovative? espressione della società? Semplice, non possono.

Con tutti questi limiti, però, il criterio di selezione del PD pare essere – ad oggi – se non il migliore, direi il meno ributtante. Nel PDL infatti le primarie (così come le secondarie) le fa uno solo: Silvio Berlusconi. Il quale – ormai quasi certo del disastro elettorale – mira solo a nominare una pattuglia di guardie pretoriane da mettere a tutela dei fatti propri, cosa che ha pure ammesso nel corso del torrenziale soliloquio di ieri pomeriggio a Canale 5. Pertanto, il criterio di vicinanza al capo è il solo requisito e poco importa se questo comporterà all’ex primo partito d’Italia di perdere decine di seggi in entrambe le Camere. E’ la strategia di chi ha perso e poco si cura delle conseguenze della sconfitta. Après moi le déluge.

E i 5 Stelle, nemici della “vecchia politica” e del suo teatrino? Ovviamente hanno gestito tutto via web, da bravi infonerd. Nei giorni scorsi si sono organizzate le “parlamentarie”, procedura di selezione online della candidature previa registrazione al movimento che – sulla carta – sembrava anche una cosa interessante. Peccato però che sull’esito della vicenda sia scesa una cappa di nebbia fitta fitta… alla fine non si sa quanti abbiano votato effettivamente, quanti voti siano stati “pilotati” da cordate e quale ruolo abbia giocato la mistica coppia Grillo & Casaleggio, sempre più via di mezzo tra Scientology e il reverendo Moon. Dal giro di click con i quali si sono svolte le parlamentarie stellate, la sola cosa che ho capito è che si va in parlamento con 3-400 voti. Nel consiglio comunale di Trieste questo vorrebbe dire arrivare – grosso modo – 15° nella classifica dei più votati. Il che significa che l’eletto dei 5 Stelle non rappresenterà nessuno, tranne un gruppo di amici e di sodali di meet up.

E quindi – tornando alla domanda di partenza – a chi deve piacere la lista? E’ evidente che la lista non viene fatta per piacere agli elettori, cercando di costruirla sulla base di un’offerta realmente competitiva, con nomi di pregio, capaci di attrarre anche fuori dal ristretto recinto dei circoli, delle cricche o dei meet up. La lista viene costruita innanzitutto per sistemare le cose all’interno del partito, come conseguenza di un regolamento di conti, della pace raggiunta tra le varie anime, della fedeltà al leader o della disciplina verso le regole.

Battitori liberi, menti autonome, gente estranea a cordate non sono i benvenuti nel processo di formazione delle liste, che va invece il più possibile eterodiretto per controllarne gli esiti ed essere sicuri che non vi siano troppe intromissioni da parte del cittadino-elettore, che solo Dio sa come potrebbe votare se lasciato libero di scegliere.

E’ anche per questa ragione che saremo condannati nei secoli a un sistema elettorale odioso come il Porcellum  o a qualche sua variante addirittura peggiorativa. Perché i partiti non passeranno mai al collegio uninominale, che ha il “difetto” di richiedere la scelta di un nome solo, capace di essere aggregante e attrattivo anche fuori dal ristretto circolo delle gerarchie partitiche. Il collegio uninominale è competitivo, mira a una rappresentanza “responsabile” verso gli elettori e mal si accorda alle fuffigne della tutela di componenti interne, quote di vario colore, interessi particolari, lobbismi o osservanza stretta delle regole imposte dalla cybersetta.

E così, dopo 5 anni di chiacchiere stucchevoli, anche le elezioni del 2013 saranno viziate da un gap democratico che diventa sempre più profondo.

Autore: Marco Cucchini

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  1. C’è anche da dire che i 7 giorni di campagna elettorale per le “parlamentarie” PD sono dovuti alla simpatica mossa di Alfano e compagnia bella, che ha portato ad accorciare di gran lunga i tempi utili. E che, con le dovute riserve, c’è anche la possibilità che da questa iniziativa salti finalmente fuori quella giovane classe amministrativa cresciuta col PD negli ultimi anni, di cui ben poco si parla perché non strepita come Grillo e seguaci, ma che è ben conosciuta nel territorio. Bersani, inoltre, va avanti a parlare di collegi uninominali da molto tempo, anche di questo bisognerebbe dargliene atto, in fondo se lo merita, perché rimane l’unico “leader” che si è messo seriamente in discussione nell’ultimo periodo.
    Poi magari non cambia nulla, eh, ma diamogli e diamoci un po’ di fiducia almeno sotto natale!

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