La domanda non fatta…

La domanda non fatta…

partiti-politici28/01/2013 – Nelle grandi democrazie consolidate, dove la competizione ha una natura essenzialmente bipolare (o bipartitica), quando un partito al governo è in crisi di consensi, ne beneficia soprattutto il partito (o coalizione di partiti) che esprime l’opposizione parlamentare. E infatti, nella logica della politica democratica, chi ha perso le elezioni non fa il golpe, ma si fa un buon esame di coscienza, cambia il leader e inizia a lavorare per vincere la volta dopo.

Ovviamente, in Italia non funziona così. Nel 2008, la coalizione di centrosinistra (PD-IdV) ottenne il 37,5% dei voti, mentre la coalizione di Fausto Bertinotti il 3,1%. Totale del voto “di sinistra” (sinistra per modo di dire…) 40,6%. La coalizione berlusconiana, invece, ottenne il 46,8% dei voti al quale aggiungere il 2,4% della Destra, che in seguito decise di dare un appoggio politico esterno al governo. Totale del consenso di destra, 49,2%.

Dal 2008 ad oggi è cambiato il mondo. La coalizione berlusconiana è esplosa, prima per i dissensi politici che hanno portato alla nascita del FLI, quindi per la nuova ondata di scandali che ha colpito il premier e infine per la crisi economica che lo ha obbligato alle dimissioni. Morale della favola, secondo i principali sondaggi, il blocco politico che si riconosce nel destra-centro di Berlusconi è oggi oscillante tra il 25,8% e il 27,5%, cioè con un calo che – a voler essere clementi – è del 20% e oltre in 5 anni.

E l’opposizione “di Sua Maestà?” beh, notevolmente in vantaggio, oscillando tra il 34,1 e il 38,5%. Tutto bene per Bersani quindi? Sì e no…

Ovviamente, l’aspetto positivo per il centrosinistra è la probabile vittoria elettorale alla Camera, visto che non sembra facile per Berlusconi recuperare i 10 punti di svantaggio in quattro settimane. Ma il vero dato politico, sul quale a casa Bersani non riflettono (o almeno sembra che non riflettano) è il totale fallimento del PD come proposta politica aggregante opposta al centrodestra. La montagna berlusconiana è esplosa, ma neppure un sasso è finito nel cortile del centrosinistra: 38% erano e 38% sono, se non meno…

Il voto a Monti, il voto a Grillo, pure il voto a Ingroia sono la conferma che – per una ragione o per l’altra – circa il 60% dell’elettorato non considera il voto al PD una opzione praticabile. Vincere senza convincere può portare la maggioranza (alla Camera), ma si tratta di una maggioranza meramente tecnica, perché il Paese sta da un’altra parte… 1996, 2006, il centrosinistra ha sempre vinto perché a destra si sono fatti male da soli, spaccandosi in 2 (come nel 1994) o litigando fino allo stremo (come nel 2001-2006), mai per meriti propri, mai per la capacità di proporre un’agenda politica aggregante, una opzione politica chiara e una classe dirigente all’altezza delle sfide.

E così, nella legislatura 1996-2001, l’Ulivo ha governicchiato, cambiando in 5 anni 4 governi e 3 presidenti del Consiglio, mentre nel 2006 si è disgregato praticamente subito. E sempre per lo stesso motivo: l’impossibilità di tenere assieme centrosinistra e sinistra. Cioè la stessa, identica coalizione che si presenta oggi.

Un forza politica incapace di cambiare, che non impara dai propri errori tattici e strategici, che non sa intercettare gli umori e i bisogni di una parte crescente dell’elettorato e che quando vince lo fa per congiunzioni astrali fortuite e non per virtù propria con quali armi pensa di poter affrontare la campagna elettorale e – soprattutto – in caso di successo, il governo del Paese?

E’ la tragedia della II Repubblica: per una ragione o per l’altra, chi vince le elezioni non si rivela mai capace di governare il Paese. Accadrà ancora? E – soprattutto – nel PD si decidono a farsi la fatale domanda? Perché nessuno degli elettori in fuga dal centrodestra sceglie Bersani? non sono un pochino curiosi?

Autore: Marco Cucchini

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