26/02/2013 – Il crollo di Pd e Pdl è la fine di un progetto ventennale: lo dicono i dati dell’Istituto Cattaneo.
Con il 2013 si celebra la fine di un’epoca. I partiti non muoiono, ma sono in una crisi irreversibile. A raccontare questa storia ci pensano, freddissimi, i numeri dei flussi elettorali. Secondo le analisi dell’Istituto Carlo Cattaneo, i dati sui voti e sugli elettori di Pd e Pdl, confrontati ai risultati del 2008, sono una doccia ghiacciata. Ne bastano pochi per capire: il Pd, ad esempio, in questi cinque anni ha perso per strada 3,5 milioni di elettori. Cioè, il 30% in meno rispetto al 2008. Una strage. Dall’altra parte, poi, è andata anche peggio: la gloriosa cavalcata di Berlusconi degli ultimi mesi ha salvato il salvabile, ma la situazione era compromessa. A dire addio al Pdl sono stati ben sei milioni di elettori. Cioè il 50%, rispetto al 2008.
L’analisi si concentra anche sulle variazioni territoriali. Qui si vede che il Pd si è indebolito dappertutto, tranne che nel Molise e in Valle d’Aosta. Il crollo più alto è stato nelle regioni del Sud, dove l’abbandono è stato superiore alla media (-37%), soprattutto in Puglia, dove si è registrata la perdita più grande in assoluto (-44,8%), Basilicata e in Calabria. E, a ben guardare, tutta l’area adriatica ha voltato le spalle al partito di Bersani. Il problema è che è andata male anche nelle cosiddette “regioni rosse”, dove ha perso il 26,3%. Anche il Pdl ha poco da ridere: ha contenuto la fuga del nordest, dove ha perso solo il 34% dei voti rispetto al 2008, ma in tutto il resto d’Italia il partito è dimezzato: ad esempio in Sardegna (-54,6%) Basilicata (-52,8%), nelle Marche (-52,6), ma anche Calabria, Sicilia, Friuli e Trentino Alto Adige sono una Waterloo. In totale, i due grandi partiti di centrodestra e centrosinistra hanno perso oltre nove milioni di elettori. Dove sono andati?
Molti di loro hanno votato per il Movimento Cinque Stelle, che ha preso ben 8.700.000 voti. Ma Beppe Grillo ha preso un po’ da ogni parte. Ha rubato si sicuro dalla Lega, che si è dimezzata (-54%), perdendo più di 1.600.000 voti e ritirandosi nelle sue roccaforti lombarde (dove contiene i danni, visto che – sembra un paradosso – si trova a governare le tre principali regioni del nord), Anche se nel nordest ha perso il 61% e in Piemonte addirittura il 64,3%, mentre in Liguria quasi scompare, perdendo il 68%. Ha preso, forse, dall’ala della destra, (nel 2008 Forza Nuova e La Destra, nel 2013 La Destra, Casa Pound, Fiamma Tricolore, Rifondazione Missina e Forza Nuova) che ha visto ridursi il suo bacino di consensi da 1 milione a 400mila voti.
In tutto questo, la sinistra radicale (nel 2008 Sinistra Arcobaleno, Pcl, Sinistra critica, Alternativa Comunista, nel 2013 Rivoluzione civile, Sel e Pcl) cresce anche se di pochissimo, mentre l’area del partito di Monti rivela il profilo più curioso: ottiene poco meno di 2 milioni di voti (1.924.281), dei quali quasi la metà (812.136) vengono dal nord-ovest e pochissimi dal sud. La stranezza è che, pur ereditando l’area elettorale di Casini, il partito di Monti si radica in zone del tutto differenti, cioè il nord: rispetto all’Udc del 2008 cresce in Trentino- Alto Adige (+252,5%), in Lombardia (+207,9%) e in Liguria (+172,5%).
Insomma, quello che dicono i dati è chiaro: l’Italia è cambiata. Ora non si tratta tanto di capire chi abbia vinto di più (o piuttosto perso di meno). La débacle dei due maggiori partiti, e la crescita di un terzo, del tutto nuovo, soggetto politico, dicono tante cose. Lo scontento degli italiani, l’impopolarità della classe politica, la difficoltà delle riforme sono tutte cose vere e importanti. Ma il punto nodale sembra uno solo: di fronte alle difficoltà del Paese, il modello del bipolarismo, più o meno perfetto, non ha funzionato. Non sono bastate né primarie né cavalcate televisive. Questa tornata elettorale d’inverno spazza via l’ultimo suo sogno perseguito per vent’anni. Le cose sono cambiate, Berlusconi c’è ancora, il Pd anche. Ma la seconda Repubblica finisce qui.