15/03/2013 – Finita la campagna elettorale svanisce la passione social dei candidati. Ecco chi è rimasto e chi invece non twitta e posta più. Soprattutto se ha perso.
L’hanno detto tutti: quella del 2013 è stata una campagna elettorale influenzata dalla Rete e dai social network. La politica ai tempi del social ha però un secondo tempo e di mezzo c’è il guado del voto. C’è chi, dopo le urne, continua ad utilizzare il proprio profilo e chi invece latita. La passione per il web, evidentemente, per alcuni è passeggera.
Nulla di cui stupirsi. Molti osservatori, nazionali e internazionali, rimproverano ai politici italiani di avere un concetto strumentale, propagandistico, del social. Si prenda ad esempio Twitter, forse quello più trasversalmente utilizzato dai politici italiani, anche per la sua brevità, durante la campagna elettorale.
In poche settimane, politici che per anagrafe e background mai si sarebbe sospettato essere interessati a questi mezzi hanno occupato fortemente gli spazi della Rete cercando di creare un interesse attorno alla loro proposta. Il primo dei quali è stato Mario Monti. Grazie al suo account – 240 mila follower e 791 tweet – il presidente dimissionario ha promosso dibattiti (ancora troppo bottom-up) e accolto domande. L’ultimo cinguettìo tuttavia è datato 6 marzo:
Soltanto un caso che Monti sia stato molto deluso dal voto alla sua lista civica? Lo sarebbe, se non fosse che il suo principale sostenitore, PierFerdinando Casini, mostra un comportamento identico, anzi fa peggio: lui ha smesso di scrivere il giorno del voto (escludendo l’ovvio tweet per la nomina di Papa Francesco I ma l’eccezionalità dell’evento può escluderlo) e non ha (si è) più ripreso:
Medesimo destino dell’altro collega parlamentare della coalizione di centro, Gianfranco Fini, che ha smesso di postare addirittura il 20 febbraio, dopo un’attività invero abbastanza moderata, pur avendo più di 50mila follower.
Anche Antonio Ingroia (39 mila follower, 345 tweet) ha decisamente rallentato, anche se non è sparito come il centro moderato pur condividendo lo stesso destino di Fini, l’esclusione dal Parlamento. Ha postato 17 tweet dal giorno delle elezioni, ma nella sola giornata del 22 febbraio ne aveva pubblicati 23. Numeri che spiegano quale rapporto può esserci tra l’esito deludente del voto e l’uso del social.
Peccato nel quale non cade, gliene va dato atto, Oscar Giannino. Nonostante la debacle elettorale, il giornalista ed economista è tutt’ora attivissimo su Twitter (79 mila follower e 345 tweet) con una media di sette tweet al giorno dopo il voto, con molte opinioni sul dibattito politico anche più stringente e attuale come la formazione del governo:
Tra i delusi ma ancora attivi anche Nichi Vendola. Il suo movimento ha raccolto a malapena quanto necessario per far superare alla coalizione di centrosinistra quanto il Movimento Cinque stelle ha raccolto da solo. Chiaro come si ritenga fuori dai giochi e anzi spinga per un dialogo con Grillo, ma non manca di twittare, anche se preferisce – statisticamente in rapporto tre a uno – temi regionali.
Campioni di tweet certamente due account celebri: quelli di Berlusconi e Grillo. Ma attenzione: Berlusconi2013 è l’esempio supremo di account gestito da uno staff che produce quantità industriali di contenuti da ufficio stampa. Ben 11 tweet nelle ultime 24 ore, compreso l’ovvio augurio al nuovo pontefice:
Beppe Grillo rappresenta, paradossalmente, l’utilizzo più scarso e allo stesso tempo più massivo del microblogging, così come di Facebook: sul primo si limita a lanciare hashtag, come #Poveropaesedove che linkano a pezzi del suo blog, e ritwittare qualunque cosa dicano i suoi follower (ben 1 milione e 85 mila, numero record per la politica italiana). Su Facebook l’attitivà è altrettanto robusta, sempre uno-verso-molti. Grillo utilizza i social come fossero specchi riflettenti che concentrano i raggi solari verso un unico punto, la classe politica, per darle fuoco. Ma non si relaziona mai.
Dalla parte del centrosinistra, i due principali protagonisti, Bersani e Renzi non fanno mancare la loro presenza. Pierluigi Bersani ha più di 306 mila follower e l’attività social non ha subìto alcuna modificazione alla luce del voto. Simile per certi versi all’account di Berlusconi, si intuisce però una più sincera adesione nei contenuti. Anche se certamente gestiti da uno staff, in taluni casi. Bersani cinguetta molti slogan, molti concetti, la sensazione è che per lui il passaggio tra campagna elettorale e governo non abbia soluzione di continuità, anche perché lo stallo conseguente all’esito del voto lo costringe a elaborate manovre di convincimento.
Matteo Renzi (439 mila follower e più di 2.600 tweet) è un campione dei social media, che usa in modo molto personale. Il tipo di comunicazione è più diretto, più fresco. Al contrario di Bersani non scrive messaggi generici verso l’esterno, ma punti di vista e tranche de vie, cioè come lui vede il resto del mondo. Una tecnica molto più efficace.
Il bilancio è insomma abbastanza positivo, anche se con qualche sparizione imbarazzante e qualche utilizzo troppo rigido del mezzo. La passione social dei politici italiani non è completamente sparita, ma considerando che non c’è neppure un governo e soltanto oggi si insedieranno le commissioni in Parlamento, c’è il fondato timore che qualche altro account, lentamente, scemerà.
Fonte: webnews.it | Autore: Marco Viviani