16/04/2013 – I partiti hanno piegato tutte le dimensioni della società italiana verso la ricerca del consenso elettorale. Ora però nelle urne il successo arride a non-partiti come il M5S. Così si cercano nuove forme partito, avvicinandoci all’esperienza americana. Dove i partiti sono sicuramente meno invasivi.
Ho letto – inizialmente con interesse, poi via via diminuito – il documento preparato dal ministro Fabrizio Barca sul “partito nuovo”. Il documento è lungo e, francamente, quasi mistico, vista la distanza fra la proposta e la realtà sul campo. Però, al ministro va riconosciuto il merito di sollevare una questione che è sul tappeto per tutti gli italiani: un ripensamento sulla forma stessa di partito.
I partiti, intesi come organizzazioni e sistemi di incentivi, sono sfuggiti al controllo. Non solo al controllo dei cittadini, ma anche a quello delle istituzioni. Dei tre poteri dello Stato, quello legislativo e quello esecutivo sono ormai da tempo totalmente catturati dai partiti. Il terzo, il potere giudiziario, è impegnato in una lotta contro quei comportamenti illegali che sono di fatto incentivati, o almeno tacitamente accettati, dai maggiori partiti. La società civile e l’economia sono state da tempo colonizzate. I partiti, insomma, hanno piegato tutte le dimensioni della nostra società verso la ricerca del consenso elettorale.
Non sorprende dunque che i cittadini italiani abbiano votato in massa l’unico non-partitodisponibile: il Movimento 5 Stelle. Il movimento è stato strutturato esplicitamente violando ogni logica di partito, e in particolare contro l’idea che il partito sia una professione per chi lo gestisce. Quindi niente gerarchie, né benefici economici per chi fa parte dell’apparato, né fedeltà all’organizzazione data o richiesta (anche se forse a Beppe Grillo un po’ più di fedeltà non dispiacerebbe, sembra).
Quando un non-partito vince, si trova in difficoltà. La sfida per un non-partito è, innanzi tutto, come mettersi d’accordo internamente su quali politiche sostenere. Non potendo contare sulla fedeltà, e nemmeno su un processo di adesione a un programma, il non-partito trova difficile offrire supporto a una coalizione di governo. Potrà mai essere più che una collezione di franchi tiratori? Ma nonostante le difficoltà, il non-partito piace agli elettori.
I partiti “normali” hanno capito, ormai, l’attrazione degli elettori per la forma non-partitica. Il Pd ha cercato confusamente di adeguarsi facendo le primarie. Altri partiti cercheranno la loro strada nella stessa direzione.
LEZIONI AMERICANE
Cercando di diventare almeno in parte non-partiti, le formazioni politiche italiane vanno nella direzione dei partiti americani.
I partiti americani assomigliano un po’ a un non-partito, o almeno a un “meno-partito.” Per esempio, per i politici americani la politica non è una professione che si sceglie a scuola o all’università. I politici americani vengono dal mondo del lavoro invece che dai gruppi “giovanili” di partito. Barack Obama, per esempio, era un professore di diritto, mentre il suo oppositore alle ultime presidenziali, Mitt Romney, era un manager nel settore della finanza. Senza dimenticare che i candidati alle elezioni negli Usa vengono selezionati non dal partito, ma dai votanti attraverso le elezioni primarie; i partiti italiani invece controllano ferocemente le liste elettorali. Forse per queste ragioni, la disciplina di partito negli Usa è relativamente labile: tradizionalmente i parlamentari americani non sempre votano con il loro partito, mentre in Italia, il voto è quasi sempre di partito.
Andiamo dunque nella direzione giusta? Forse. I partiti Usa non sono privi di difetti. Anch’essi sono dipendenti dai contributi elettorali (direi anche assuefatti). Tanto per dare un numero da brivido, il totale speso nella campagna elettorale 2012 è stato di ben 6 miliardi di dollari. Ciò detto, i partiti americani non soggiogano lo Stato e l’economia come quelli italiani. In Italia, come sappiamo, avere una associazione partitica è quasi necessario perché un chirurgo possa diventare dirigente sanitario. Lo stesso vale per tanti altri settori dell’economia. Quando racconto questo, i miei amici americani strabuzzano gli occhi (e sperano di non ammalarsi quando vengono in visita in Italia). Insomma, i partiti americani non sono perfetti, ma sono meno invasivi di quelli italiani, in parte proprio perché sono “meno-partiti.”
Dunque il M5S, il primo non-partito italiano, è in qualche modo un partito all’americana. E il Pd, fra primarie e Barca, guarda un po’ nella direzione del meno-partito. Possiamo immaginare un futuro di partiti italiani un po’ “meno-partiti”? Questa, per me, è la domanda posta dal memorandum di Barca. Il futuro ci darà la risposta.
Autore: Nicola Persico | Fonte: lavoce.info