Come governerebbe un partito se non dovesse confrontarsi con i limiti e le regole dello stato di diritto? Per capirlo basta guardare come gestisce la propria vita interna, come agisce quando non è vincolato dai lacci e lacciuoli del sistema di check & balances proprio delle democrazie liberali.
In questi giorni ho seguito molte ore del congresso fondativo del PdL e sono giunto ad una conclusione: il modello politico più adatto a descrivere quanto ho visto è quello delle fasi più mature del comunismo cinese. Inizialmente pensavo all’Urss di Brezhnev, ma riflettendoci, il modello maoista è molto più adatto a descrivere l’idea politica che emerge da quel congresso. Andando per punti:
1. In una scenografia trionfale e ridondante va in onda – acritico e pervasivo – un ininterrotto omaggio al Leader, con un culto della personalità che non ha eguali nella democrazia italiana, neppure se consideriamo i momenti di maggior controllo del PCI da parte di Palmiro Togliatti. Il Leader apre e chiude con un discorso che non è “politico”, ma epopeico: la descrizione di un’Italia distrutta, quindi di un Uomo che emerge coraggioso e con intuizioni geniali riesce a salvarla dal Male (la sinistra) e a traghettarla verso un futuro radioso.
A questo discorso – che da la linea – si adeguano tutti gli altri interventi. Nessuno, neppure Fini, neppure Tremonti (di solito così brillante) si sottrae all’elogio un po’ grottesco del Leader, all’omaggio rituale alle sue intuizioni e alla sua grandezza. E Lui, seduto in prima fila, perennemente sorridente ad ogni nuovo elogio annuisce con grazioso gesto della testa.
Neppure i giovani – che per definizione dovrebbero essere portatori di freschezza, di idee nuove, di critica verso “l’apparato” – escono dallo schema, anzi. Il siparietto dei 4 ragazzotti della “Silviojugend” è francamente sconcertante: tutti belli, tutti eleganti (i brutti non hanno diritto alla politica nel mondo felice del PdL) e tutti – con l’occhio vagamente allucinato tipico del fanatico o del “rieducato” – elencano piccole banalità inframmezzate da pietosi elogi al Leader (un “eroe” secondo la sobria lettura di uno degli adepti al culto).
2. La descrizione di un mondo parallelo è la seconda caratteristica dei sistemi basati sul culto della personalità. Di essa si trova traccia in quasi tutti gli interventi, nessuno dei quali parla di politica nel senso classico del termine – vale a dire elaborando proposte, sottolineando punti critici, proponendo chiavi di lettura diverse – ma si propone il racconto di una Italia sana, raddrizzata, felice e prospera. In questo, l’intervento di riferimento è quello del ministro Scajola, che senza temere il ridicolo ha descritto una situazione dove in pochi mesi “si concludono le grandi opere (dalla TAV al passante di Mestre), dove gli statali lavorano, le imprese sono innovative, le strade e le città sicure, si pagano meno tasse, il sud riduce le distanze, il nord che ha ripreso a correre” (!!!)”. Nessuna analisi politica del Leader è mai sbagliata nel mondo parallelo, ogni giravolta ha un senso e trova ragione nelle grandi intuizioni di cui il Leader – artefice di una “rivoluzione permanente” – è portatore: una “lucida follia”, come ha detto Gianfranco Fini nel suo ricco e complesso intervento.
3. La creazione del nemico interno è un altro, tipico strumento dei sistemi basati sul culto della personalità per giustificare le cose che non vanno. Sono i “controrivoluzionari”, gli “agenti dei servizi segreti stranieri”, i “sabotatori”… ogni sistema autocratico ha trovato il suo modo di definire il “nemico interno”. Il modo del PdL è raccontare di una sinistra che si “infiltra” nella società. Le tirate retoriche contro “la sinistra” da parte del Leader sono state raccolte dai suoi cortigiani e quasi nessuno si è sottratto al compito di portare il proprio mattoncino al muro di astio ideologico che è stato via via innalzato. Nessuno ha fatto presente che forse una forza politica che quando va male prende pur sempre il 40% dei voti (cioè 20.000.000!) non è un corpo estraneo, ma una vasta quota di società con la quale fare i conti, tranne Fini che ha ricordato – in totale solitudine – che la sinistra è portatrice di valori necessari a completare il sistema democratico. Ma queste sono complicazioni intellettuali inutili, molto più semplice irridere a Franceschini e alla sua supposta “inutilità”, molto più consolante disegnare uno schema da brutto film hollywoodiano, dove i buoni stanno tutti da una parte e i cattivi (brutti e sporchi) da un’altra.
Ora il PdL finalmente è nato. E’ una forza necessaria al completamento della democrazia italiana. Per quanto lo conosco, è un partito più vero di quanto non si creda, più complesso, più ricco e più articolato. Un partito fatto di passioni, di persone perbene, di contraddizioni e di tensioni, come tutti i grandi partiti democratici.
E mi spiace sinceramente che una tale ricchezza e pluralità venga costantemente nascosta in favore di una rappresentazione a metà tra la setta religiosa e la convention di una qualche società pubblicitaria.
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