12/06/2013 – L’elezione diretta del sindaco è una bella ventenne. Sull’onda del movimento referendario la legge che la istituiva, superando un sistema oligarchico ed impotente (compresa la cosiddetta mozione di sfiducia costruttiva che si rivelò, come previsto, del tutto priva di effetti stabilizzatori) fu approvata nel marzo 1993 e nella primavera si svolsero poi le prime elezioni su quella solida base.
Nel frattempo sono venuti meno molti incentivi ideologici e molte risorse clientelari e quindi anche il non-voto, come in tutte le democrazie consolidate, è divenuta un’opzione possibile per molti, spesso per metà dell’elettorato, cosa che dovrebbe far riflettere per innovare l’offerta politica, coinvolgendo gli elettori sin da elezioni primarie per la scelta dei candidati. Anche questo elemento spiega la migliore mobilitazione del centrosinistra.
Il sistema è ottimo perché, grazie al doppio turno per il vertice dell’esecutivo, non si cade nel dilemma in cui siamo attualmente per il livello nazionale: o fai vincere comunque la minoranza più forte in unico turno, dandole un premio sproporzionato, o rendi impossibile il premio, ad esempio mettendo una soglia minima del 40 per cento, ma allora ti condanni alla grande coalizione permanente.
Teniamo presenti infatti due dati. Al primo turno molto spesso il candidato più votato è rimasto sotto il 40 per cento dei voti validi, a causa dell’elevata frammentazione, ma nessuno dopo il ballottaggio e l’assegnazione del premio del 60 per cento di seggi ha criticato la sovrarappresentazione in seggi di un candidato che è comunque andato sopra la maggioranza assoluta. Questa maggioranza, è questo l’elemento più decisivo, corrisponde anche a un numero di voti assoluti più elevato di quelli conseguiti al primo. Si vede bene a Roma, con Marino che sale di 150 mila voti, mentre Alemanno cresce comunque anche lui, sia pure di poche migliaia. Questo significa che non pochi elettori che al primo turno votano per candidati minori a loro più vicini decidono poi di utilizzare il sistema scegliendo il bene possibile al secondo turno.
Con l’attuale frammentazione al primo turno la somma dei voti dei primi due candidati arriva spesso a malapena ai due terzi. Se gli elettori non gradissero il sistema la partecipazione dovrebbe quindi crollare di un terzo tra un turno e l’altro, mentre cala meno di metà. Più di un elettore su due che vota candidati minori contribuisce quindi al risultato decisivo.
Un utile memorandum per la riforma a livello nazionale.La bella ventenne ci da’ un insegnamento prezioso.
Autore: Stefano Ceccanti | Fonte: Huffingtonpost.it