06/08/2013 – La scorsa settimana negli Stati Uniti, Democratici e Repubblicani hanno lanciato le rispettive “agende rosa”, cioè due programmi tesi a promuovere le pari opportunità di genere e fomentare la partecipazione politica femminile. Alla base per entrambi c’è il desiderio di accattivarsi un elettorato femminile che si è visto essere sempre più importante nel corso delle ultime elezioni.
Nancy Pelosi, leader della minoranza al Congresso, ha presentato l'”Agenda Economica per Donne e Bambini“, che introduce proposte di legge su alcuni punti considerati chiave dalle americane. Tra loro: equo salario, giorni di malattia e di maternità/paternità garantiti (gli Stati Uniti sono uno dei tre Paesi al mono e l’unico del mondo sviluppato a non prevedere il congedo di maternità obbligatorio) e accesso a servizi per l’infanzia dal costo abbordabile (il costo medio per un anno di nido negli Stati Uniti è tra i $4,000 e i $12,000. A New York, poi, si aggira sui $20,000).
Per i Democrats, la volontà di arrivare all’elettorato femminile attraverso candidate donne e programmi ad hoc non è nuova. Già dal 1985, l’organizzazione di donne Emily’s List si adopera per far eleggere candidate favorevoli ai diritti riproduttivi all’interno del Partito democratico, raccogliendo fondi per le loro campagne e unificando l’elettorato femminile intorno a loro.
Per i Repubblicani, Sharon Day, Co-Chair del Republican National Committee, ha lanciato il progetto “Crescere“, teso a far aumentare di 150 il numero (e quindi il peso relativo e assoluto) delle donne nel partito.
In anticipo rispetto alle prossime elezioni presidenziali ma a pochi mesi da molte elezioni statali, i partiti americani vogliono quindi avvicinarsi all’elettorato femminile, chiave in quanto rappresenta una parte importante dello “swing vote”, cioè quel voto che può’ cambiare da elezione a elezione, a seconda dei programmi e delle performance dei partiti.
All’indomani del lancio dell’agenda democratica per le donne, il 90% dell’elettorato americano si diceva favorevole a politiche per il salario equo, 75% in favore all’aumento dei servizi per l’infanzia e il 72% in favore dell’espansione di politiche per il congedo di maternità/paternità e malattia. Parlare alle donne, insomma, conviene e la politica americana ne è oggi più che mai consapevole.
In Italia, purtroppo, l’elettorato femminile rimane una risorsa poco utilizzata, non solo dalle gerarchie di partito, ma soprattutto dalle stesse donne, spesso incapaci di organizzarsi per pretendere dalla politica soluzioni ad una condizione femminile che ci vede ultimi in Europa.
Il Movimento Se Non Ora Quando ha rappresentato un primo tentativo in questo senso, ma non è stato in grado di far assimilare pienamente le proprie richieste dai partiti, ne’ di convincere le italiane a pretendere un’ “agenda rosa” dai propri candidati. O dalle proprie candidate, alle volte utilizzate le donne in modo strumentale (le donne, spesso, portano voti), senza nessuna strategia politica al femminile alle spalle. Come si spiegherebbe, altrimenti, che nel parlamento attuale, che vanta il più alto numero di donne nella storia del Paese, non ci sia ad oggi un Ministro che si occupi a tempo pieno di pari opportunità?
Cosa dovrebbe fare allora l’elettorato femminile?
Per esempio, rifiutarsi di votare partiti e candidati che non includano il potenziamento dei servizi per l’infanzia nel loro programma. Oppure controllando presenze e astensionismi in occasioni di votazioni chiave, quali la ratifica della Convenzione di Istanbul e la difesa della legge 194, per menzionarne un paio. O anche solo verificando quante volte si parli di donne nei programmi dei partiti: nelle scorse elezioni, due dei tre partiti che hanno raccolto più voti non ci menzionavano neanche.
Gli Stati Uniti come in Italia, nella politica dei numeri le donne contano. I partiti hanno iniziato a accorgersene. Le donne, purtroppo, ancora no. Solo quando lo faranno le cose inizieranno a cambiare davvero.
Autore: Lucina Di Meco | Fonte: ilfattoquotidiano.it