Democrazia digitale: per i dati del “World Forum for Democracy” non attrae l’impegno politico dei disillusi

Democrazia digitale: per i dati del “World Forum for Democracy” non attrae l’impegno politico dei disillusi

19/11/2013 – Bye bye tessera di partito. Addio alle proteste di piazza. E benvenuto astensionismo elettorale. Come ci ricordano i voti nei circoli per le primarie del Pd, che registrano un – 35% rispetto alla scorsa tornata e le elezioni regionali in Basilicata che hanno visto recarsi alle urne soltano il 47% degli aventi diritto. Non soltanto l’Italia, ma l’intero Occidente sta lentamente abbandonando le forme tradizionali di partecipazione democratica. Eppure il web sembra non avere fornito una vera democrazia digitale. Anzi, secondo i cyber-scettici, l’attivismo online esclude comunque i delusi, accentua le faziosità e può essere utilizzato dai governi per spiare i cittadini.

I dati che saranno presentati al World Forum for Democracy, in apertura il 23 novembre a Strasburgo con il patrocinio del Consiglio d’Europa, sono allarmanti. A cominciare dall’affluenza alle urne, in perenne emorragia nelle 49 democrazie avanzate del mondo dove gli elettori sono calati del 10% negli ultimi trent’anni (come in Italia) con punte del 35% negli Stati Uniti e del 30% in Grecia. I cittadini delle democrazie occidentali che nel 1990 nutrivano grossa fiducia nella politica erano il 49%, oggi il 27%.

In Europa questo ha portato al calo drammatico nel tesseramento ai partiti: a scontare maggiormente l’enorme disaffezione è la Gran Bretagna (-70%), ma anche democrazie che reputiamo solide e funzionanti come la Norvegia (-60%), la Francia (-52%) e la Svezia (-48%), mentre il nostro Paese regge meglio ma non certo benissimo alla crisi di rappresentanza (-35%). Anche i sindacati negli ultimi vent’anni hanno registrato una costante fuga degli iscritti: -14% è la media occidentale, in Italia il calo è stato meno vistoso (-12%).

Il dossier reputa inoltre molto preoccupanti le statistiche che illustrano la volontà dei cittadini di partecipare a forme di lotta individuali: alla fine degli anni ’80 tre occidentali su quattro affermavano di avere firmato una petizione, contro il 56% del 2006, e nello stesso periodo sono calati coloro che aderirebbero al boicottaggio per una giusta causa (dal 45% al 37%) o sarebbero pronti a scendere in piazza per protestare (dal 62% al 51%).

Ecco perché, in tempi di acuta crisi economica come questi, una delle domande meno risolte rimane quella sulla scarsa partecipazione alle classiche mobilitazioni politiche, sindacali o di movimento. Il motivo, spiega sempre lo studio, è lampante: sempre meno persone confidano nella capacità dei politici di risolvere i problemi concreti. E questa disillusione corrode specialmente gli animi dei cittadini europei: dal 2002 al 2010 gli sfiduciati sono passati dal 31% al 43%. Quasi la metà.

Tuttavia “la poca soddisfazione nei confronti della politica non è forzatamente nemica della democrazia”. E difatti se la politica delude, ecco l’arrivo dell’attivismo online. Secondo l’autrice del dossier, la ricercatrice dell’università di Oxford Amanda Clarke, non è accaduto quello che i cyber-entusiasti speravano alle origini dell’esplosione del web e cioè che la partecipazione democratica online avrebbe trascinato le sorti della democrazia offline. Piattaforme di voto, blogging, scambio elettronico tra eletti e elettori, petizioni digitali e adesioni telematiche sono rimaste virtuali e appannaggio di coloro che già nella realtà sono attivi nelle forme tradizionali di democrazia. I disaffezionati, i delusi e insomma le persone poco attratte dalla politica rimangono comunque escluse dall’attivismo digitale e questo accade anche per i giovani nativi digitali: “I ragazzi disimpegnati non diventano automaticamente impegnati soltanto perché la politica assume forme virtuali”.

Sembra dunque prevalere la visione pessimista dei cyber-scettici: “Lungi dal generare una forma politica più pluralistica, il web ha semplicemente rafforzato le partigianerie facendo da megafono alle ideologie politiche e dando maggiore potere a voci politiche già dominanti come i media mainstream e i grandi partiti, marginalizzando le voci meno lontane dal potere”.

Tuttavia, suggerisce il dossier che fornirà il punto di partenza per la discussione al World Forum for Democracy intitolata non a caso “Connettere istituzioni e cittadini nell’era digitale”, l’errore è quello di traslare forme di democrazia tradizionale (partiti, rappresentanza politica) nel digitale. L’ingenuità compiuta dai governi è anche quella di sollecitare la partecipazione online dei cittadini proponendo strumenti e spazi che ricalcano quelli reali, per i quali c’è enorme disaffezione, invece di entrare in comunicazione virtuale con i cittadini nelle piattaforme che loro usano più frequentemente.

Ciò che invece accade online è l’elaborazione di nuove forme di partecipazione, a cominciare dai forum per consumatori che cominciano ad avere una voce in capitolo anche a livello politico, oppure le conversazioni via twitter che possono passare da periferiche a trend in grado di modificare opinioni e atteggiamenti di natura politica – pensiamo al caso #boicottaBarilla, diventato globale fino a costringere il patron dell’azienda a chiedere scusa per le considerazioni sugli omosessuali pronunciate alla radio. Ecco perché al World Democracy Forum si discuterà di democrazia liquida, crowdfunding, discriminazioni via web, agorà digitali, trasparenza, privacy e campagne online.

Autore: Laura Eduati | Fonte: huffingtonpost.it

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