05/03/2014 – Sono costretto a tornare sul tema della legge elettorale, non perché non abbia una vita o altri argomenti, ma perché su questo tema – per parafrasare Amleto – le disgrazie si pestano i piedi a vicenda, tanto rapidamente si susseguono una all’altra…
Non toccherò il tema da “tecnico” delle istituzioni. Su questo ho già scritto e – soprattutto – hanno scritto i principali esperti in materia, nessuno dei quali (NESSUNO) ha mai difeso la proposta di legge uscita dal patto luciferino tra Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Denis Verdini. Neppure Roberto D’Alimonte che l’ha scritta il quale – come fanno i consulenti poco ascoltati – si è limitato a dire “ho scritto quello che mi hanno detto di scrivere”. Ma qualche riflessione sulle contraddizioni politiche la voglio fare.
Che il premio di maggioranza non produca stabilità è un dato risaputo. Infatti, nessun governo eletto con i premi di maggioranza (Prodi II – Berlusconi IV – Monti – Letta) è stato stabile e dire “colpa del bicameralismo perfetto” è limitativo: il Berlusconi IV aveva larga maggioranza in entrambe le Camere e si è sfasciato comunque perché quando il meccanismo obbliga a creare coalizioni finte, la finzione presto o tardi viene svelata. Che le liste bloccate producano una deresponsabilizzazione degli eletti e un’accentuazione della distanza tra comunità e classe politica è parimenti risaputo, soprattutto in assenza di procedure di selezione codificate, trasparenti e competitive. E quindi, sottolineare questo punto non porta nulla di nuovo.
Quello che mi rimane incomprensibile è come un leader scaltro come Matteo Renzi abbia accettato e si ostini a difendere una modalità di competizione che lo danneggia senza rimedio. E il riferimento va non tanto alle liste bloccate o al riparto proporzionale, quanto – soprattutto – alla rinuncia a una qualsiasi forma di competizione su collegi uninominali preferendo a questi le coalizioni costruite attorno ad accordi con liste di partito.
Se noi osserviamo le tre competizioni miste uninominale maggioritario/proporzionale, infatti notiamo come esista un dato costante: il centrosinistra ha sempre preso più voti nella quota maggioritaria di quanti non ne abbiano presi i singoli partiti, mentre per il centrodestra è sempre funzionato l’opposto, i singoli partiti hanno sempre preso più voti di quanti conseguiti dalla coalizione nella parte maggioritaria.
Il ragionamento si può integrare osservando non solo il differenziale tra voto proporzionale e voto uninominale maggioritario dentro le singole coalizioni ma anche quello tra le due coalizioni. Dalla tabella che segue infatti emerge come la distanza tra centrodestra e centrosinistra sia sempre molto più ampia quando il voto è attribuito ai singoli partiti e sia sempre più ristretta quando – invece – il voto è dato a livello di collegio uninominale, al punto che anche la sconfitta più pesante per il centrosinistra (2001), pur nettissima nel voto proporzionale (quasi 9 punti di vantaggio per la coalizione di Berlusconi) si è rivelata invece molto più aperta a livello di voto maggioritario (2.5% di margine per Berlusconi, malgrado l’Italia dei Valori fosse andata da sola e avesse conseguito il 4.4% del voto maggioritario)
Le due tabelle mostrano chiaro un punto: il centrosinistra va più forte quando esiste una coalizione omogenea (cosa diversa dalla somma di partiti coalizzati) e quando la competizione è uninominale e non su liste di partito. Esistono delle ragioni? a parer mio direi proprio di si. Il centrosinistra va più forte nelle coalizioni “monosimbolo” (Ulivo) perché il suo elettorato è più sensibile al messaggio del “voto utile”, mentre il centrodestra appare più competitivo nelle coalizioni “plurisimbolo” perché la capacità di creare alleanze tra moltitudini di soggetti opposti è un indiscutibile talento di Silvio Berlusconi.
Per quanto riguarda la competizione su collegio, rispetto a quello su lista, il centrosinistra è tradizionalmente più forte nella prima e molto più debole nella seconda, soprattutto quando questa è articolata in liste bloccate. Anche qui la ragione è semplice: il centrosinistra è tradizionalmente più competitivo sul territorio, grazie a un maggiore radicamento, a una tradizione di presenza reale nella comunità, grazie alla rete di sindaci, di amministratori locali, di unità organizzative di partito e quindi quando si tratta di esprimere un singolo nome in grado di rappresentare un’area territoriale di limitate dimensioni è certo maggiormente favorito.
Silvio Berlusconi, lucidamente consapevole di questi aspetti, ha per questo motivo (e non per altri) abolito il Mattarellum e promosso l’orrido Porcellum: ha fatto quello che era per lui più conveniente, con astuzia, cinismo e tenacia, ma Renzi? Mi chiedo per quale bizzarra ragione Matteo Renzi abbia scelto di accettare un assetto normativo chiaramente pensato per danneggiare il centrosinistra. Perché – in una gara sui 400 m piani che può terminare al fotofinish – è così sciocco da concedere al suo competitore un vantaggio di una curva? E perché si ostina a difendere con tenacia e irragionevolezza – quasi fosse un figlio suo – un accordo che può solamente danneggiarlo e che non piace realmente a nessuno, tranne che a Berlusconi e Verdini? dove sta la ratio di tutto questo?
Ieri sera per l’ennesima volta un sondaggio ha dimostrato che: il PD è di gran lunga la prima forza del Paese ma che il centrodestra vincerebbe le elezioni. E con questo sistema si avrebbe il capolavoro di attribuire a un partito del 24% dei voti (Forza Italia) il 55% dei seggi, dato che tutte le formichine apparentate con il partitone azzurro sarebbero presumibilmente sotto il 5% dei voti, quindi escluse dalla rappresentanza.
Si può fare qualcosa di diverso? Si può ancora frenare il treno lanciato all’impazzata contro un binario morto? Non lo so… Io ovviamente avrei costruito un sistema elettorale totalmente diverso, ma anche salvaguardando l’impianto dell’orrendo Italicum sarebbe stato possibile trovare un compromesso meno scadente e – soprattutto – più equo tra le parti. Sarebbe bastato imporre una delle due soluzioni seguenti:
1. Premio di maggioranza da attribuire al singolo partito e non all’insieme dei partiti coalizzati. Questo per incentivare una competizione bipartitica e rendere politicamente inutile la creazione delle coalizioni caleidoscopio che tanto piacciono a Berlusconi. Non si tratta di fantascienza, sarebbe stato semplicemente l’esito del referendum del 2009 promosso da Mario Segni e Giovanni Guzzetta (con il sostegno di illustri esperti come Gianfranco Pasquino, Augusto Barbera o Michele Ainis, per citarne alcuni) verso il quale il PD aveva espresso voto favorevole e che non raggiunse il quorum del 50%.
2. Sostituire le liste bloccate “corte” con collegi uninominali e riparto proporzionale circoscrizionale e non nazionale. A parità di condizioni, questo favorirebbe una legittimazione diretta dell’eletto verso il proprio territorio, pur senza alterare la natura proporzionale del riparto. Non è difficile, è il sistema adottato per eleggere i consigli provinciali. E’ un bel sistema.
Certo, Berlusconi non avrebbe mai accettato tutte e due, ma quando si negozia, si trova una via di mezzo e quindi – forse – una delle due soluzioni sarebbe stata accolta. Bastava provarci. Perchè – questo è il punto – su cosa si è manifestata esattamente la “profonda sintonia” che ha abortito l’Italicum? Ho provato e riprovato a riflettere sulla strategia di Matteo Renzi in materia di legge elettorale e mi sono venuti in mente percorsi assai barocchi: è stato un modo per eliminare Letta… è un modo per fare pulizia etnica dentro il partito… è convinto di poter vincere al secondo turno, superando un Berlusconi favorito al primo… E poi mi sono illuminato, pensando al principio noto come “Rasoio di Occam”.
E’ un principio chiave del pensiero scientifico moderno, del quale siamo debitori al filosofo Guglielmo da Occam che nel mezzo del tormentato XIV secolo scrisse che “A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire “. E quindi, perché spaccarsi la testa con spiegazioni contorte? forse la verità è una, molto semplice: di queste cose Matteo Renzi non capisce un cavolo e si è fatto infinocchiare da Berlusconi, che è molto più scaltro di lui…
Questo mi dice il rasoio…
Autore: Marco Cucchini (C) Poli@rchia