14/03/2014 – Uno dei temi del giorno è la proposta di legge di revisione costituzionale del bicameralismo perfetto e del titolo V, diffusa ieri dal “Sindaco d’Italia” a margine della scoppiettante conferenza stampa di fine consiglio dei ministri. Ho letto il testo due volte, la prima rapidamente e la seconda con attenzione crescete e il giudizio è – purtroppo – molto, ma molto negativo. Più di quanto non immaginassi.
Ma argomentiamo:
- IL QUADRO GENERALE
Il testo è pessimo. Si presenta senza una relazione che ne spieghi visione e linee guida, è scritto in maniera contraddittoria e talvolta ripetitiva (ad esempio, si dice due volte – nell’art. 55 e nell’art. 94 – che la fiducia la concede la Camera dei Deputati; si mettono alla fine dell’art. 117 temi che sono oggetto del 120…), senza cura nel linguaggio, con ridondanze e contorcimenti lessicali indegni anche dello Statuto comunale di Pontassieve, figuriamoci di una Costituzione che – per definizione – dovrebbe essere breve, semplice e chiara. Come in effetti era la Costituzione del 1948 scritta, come noto, ricorrendo per il 75% dei vocaboli all’italiano di base.
E’ una proposta autoreferenziale, un caso di autismo politico. In essa non vi è alcuna eco del ricco dibattito politico e dottrinale degli ultimi 30 anni. Non c’è la voglia di fare una proposta “alta”, ma traspare in ogni riga la fretta, la superficialità, la logica da spot pubblicitario… Sul tema del bicameralismo e del rapporto tra centro e periferia si sono spese negli anni 3 Commissioni parlamentari bicamerali e alcuni comitati dei saggi, l’ultimo dei quali – i 40 di Enrico Letta – aveva steso su questo tema un documento questo tema di grande interesse e raffinatezza. Del tutto ignorato nel testo proposto ieri. Immagino neppure letto, non so se per pigrizia, ignoranza o arroganza. Eppure le riforme di peso si fanno dialogando.
La riforma del Titolo V del 2001 ha coinvolto le università, il sistema delle autonomie locali, l’associazionismo. Si impiegarono due anni e non due settimane, ma alla fine il testo che ne era uscito – pur con dei limiti – aveva una propria coerenza intrinseca, rispecchiando una visione chiara di stato se non federale, autonomico, o semiautonomico (non si è disegnata la Spagna, ma quasi). E tale testo – considerazione eticamente e politicamente da non sottovalutare – fu successivamente approvato da un referendum popolare confermativo e quindi, prima di metterci mano, sarebbe bene almeno seguire lo stesso processo partecipativo. Qui invece si danno “15 giorni” per formulare obiezioni o proposte.
- ASSEMBLEA DELLE AUTONOMIE
Una riforma potrebbe porsi il problema di riformare il Senato, di lasciarlo intatto oppure addirittura di abolirlo, tutte e tre le strade avrebbero un senso. Ma perché umiliarlo? perché trasformare una Camera che ha avuto tanto prestigio nella storia d’Italia in una bizzarra riproposizione della Consulta delle Autonomie Locali, la cui utilità è dubbia a livello regionale, figuriamoci come seconda Camera.
Intendiamoci, togliere al Senato la funzione fiduciaria ci sta, eccome. Così come creare un Senato delle Autonomie ha un suo senso in una logica di stato regionale avanzato, come nei fatti è il nostro. Ma quello che non si può fare è rappattumare pezzi di esperienze istituzionali diverse, creando un Frankenstein istituzionale che non ha senso alcuno. Vediamo:
a) questa nuova Assemblea non si sa a cosa debba servire: concorre all’elezione del presidente della Repubblica e alla definizione delle leggi costituzionali e poi? che cavolo fanno? esprimono pareri, sono “un raccordo” tra centro e periferia (art. 55). Ma cosa vuol dire “raccordo”? Nel medesimo articolo viene poi scritto – testualmente – che l’Assemblea “Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione europea” Io pensavo – nella mia ingenuità – che gli “atti normativi” dell’Unione Europea (la “e” va maiuscola, ma nella fretta il testo non è stato riletto da nessuno…) fossero adottati dalle istituzioni comunitarie e che poi gli Stati fossero chiamati a dare attuazione, ma magari sbaglio…
La nuova Assemblea inoltre svolgerebbe “funzioni di verifica sull’attuazione delle leggi”. Cioè? controllano che le leggi siano attuate e rispettate? con quali procedure? con quali strumenti normativi? Non si sa ovviamente, ma probabilmente – penserete voi – ci sarà una “riserva di legge”, un rinvio a una successiva norma di rango costituzionale o almeno primario che spieghi come questa Assemblea svolgerà la propria funzione di poliziotto delle leggi. E invece no! il tutto è demandato a un “regolamento”. Come – ovviamente – si usa fare nei consigli comunali…
b) Venendo alla composizione: si immagina che dentro questa scatola vuota siedano 2 rappresentanti per ogni regione e 3 Sindaci eletti da una assemblea di Sindaci. Come si eleggono? art. 57, comma 2 del testo proposto: “Con legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti della Camera dei deputati sono stabilite le modalità di elezione dei membri elettivi dell’Assemblea delle autonomie.” Poiché l’Assemblea delle Autonomie sarebbe un organo “costituzionalmente necessario” (se non altro, per l’elezione del Presidente) manca una norma che dice cosa avviene in attesa dell’approvazione di questa legge (che richiede, tra l’altro, una maggioranza superiore a quella necessaria per modificare la Costituzione). Rimane in forza il vecchio Senato? c’è solo la Camera? esiste una norma transitoria che lo spiega? Il succo è: la riforma deve essere completa e direttamente applicabile, altrimenti non può essere attuata. Anche questo dimostra la sconvolgente sciatteria del testo proposto.
Vi sono poi 21 membri nominati dal presidente della Repubblica per 7 anni. Chi nomina? non si sa, magari un bel gruppetto di senatori che voteranno per la sua rielezione…
c) Seconda Camera o no? Dal punto di vista formale, l’Assemblea delle Autonomie viene considerata come parte integrante del Parlamento (art. 55, comma 1) ma poi si inserisce una differenza di status tra i due rami del Parlamento in materia di indennità e di immunità. Io non sono un fanatico dell’immunità parlamentare – ad esempio – ma questa o è per tutti o non è per nessuno. E questo aspetto è fastidioso soprattutto considerato che non si mette mano alcuna alle molte prerogative “di casta” dei deputati e tanto meno al loro numero.
d) Il procedimento legislativo è un guazzabuglio incomprensibile. Tralascio tutta la faccenda dei “pareri” che l’Assemblea esprimerebbe sulla legislazione (chi ha voglia e coraggio, si armi di pazienza e sbrigli il sudoku degli artt. 70-72). Un esempio per capire che forse andrebbero “lavati i panni in Arno” è dato da un comma dell’art. 73, che mostra bene lo stile compositivo, il raffinato draftingnormativo che sta dietro a questo progetto di legge: “Il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta ovvero entro un termine inferiore determinato in base al regolamento tenuto conto della complessità della materia. Decorso il termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale.” Così, tutto d’un fiato. Cioè, se il governo “chiede” la Camera può pure dire di no. E il termine “deliberare” presuppone un voto dell’assemblea mentre di regola l’ordine del giorno lo stila il presidente previa riunione della conferenza dei presidenti di gruppo. “Tenuto conto della complessità della materia” inserisce una natura aleatoria sulla tempistica, dato che non si capisce chi stabilisca e come il grado di “complessità”. L’ultima parte è incomprensibile. Non si capisce perché il Governo della “accogliere” un testo da lui stesso proposto (un po’ alla Marzullo, si faccia una domanda e si dia una risposta). Si inserisce poi il principio di non emendabilità di un testo (“posto in votazione, senza modifiche“) potenzialmente senza limite. Il governo può dunque chiedere che qualsiasi proposta venga approvata in fretta e senza discussione e senza emendamenti. Mi pare che siamo ben oltre il principio di democrazia rappresentativa e separazione dei poteri…
- RIFORMA TITOLO V
Su questo la notizia vera è la scomparsa della “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni. Cioè quel tipo di legislazione per la quale lo Stato detta i principi generali e le Regioni le norme di dettaglio (art. 117, 3 della Costituzione). Ora questa “concorrenzialità” sparisce e tutte le materie che ricadevano sotto questa tipologia ritornano in capo allo Stato. Si tratta di un netto passo indietro rispetto alla retorica “federalista” degli anni scorsi (che – peraltro – mi trova per certi versi d’accordo) ma ne sottolineo – ancora – la natura autoritaria e autoreferenziale. Il Sindaco d’Italia che ha sempre la bocca piena su quanto siano bravi quelli che lavorano “sul territorio” priva le Regioni della loro competenza legislativa così, dalla sera alla mattina, senza una discussione, senza un dialogo con nessuno.
Tutta qua la riforma del Titolo V? parrebbe di si. Una svolta neocentralista che – con la sostanziale soppressione del Senato, quella delle province e l’approvazione di una legge elettorale pessima – completa un disegno istituzionale decisamente pasticciato e incongruo.
Marco Cucchini | Poli@rchia (c) | Immagine: Alex Di Gregorio