06/10/2014 – Ma la democrazia può vivere senza competizione?
La domanda non è oziosa. La scorsa settimana è andato in onda il grande scontro interno al PD tra la maggioranza renziana e quel che resta della minoranza di sinistra post comunista. Il tema finto era l’art. 18, quello vero decidere chi comanda dentro il PD o – meglio – se Matteo Renzi sia un sovrano assoluto o costituzionale.
Il premier ha vinto in misura maggiore del previsto, dato che al momento del voto parte della sinistra (o ex sinistra) interna si è schierata con il correntone renziano, senza neppure dare grandi motivazioni.
Ora – controllando l’80% del partito – Matteo Renzi non ha più avversari interni, ma fuori? La sinistra “radicale” è pressoché scomparsa, morta di noia, di personalismo e di pochezza di idee. Il M5S è come non esistesse, inutile in Parlamento e del tutto incapace di parlare al Paese. Infine il centrodestra ormai ridotto in macerie, con Forza Italia che politicamente non esiste, priva di iniziative, di visione e – nei fatti – costante, potenziale supporto al governo in virtù dell’intoccabile “Patto del Nazareno”, la misteriosa e segretissima “Costituzione Materiale” della III Repubblica.
Nel frattempo, tra pochi giorni, dovrebbe riprendere il cammino dell’Italicum – che di quel patto è uno dei frutti più tossici – la cui caratteristica principale è il mantenimento delle liste bloccate. Sulle liste bloccate abbiamo più volte scritto che servono solo a troncare ogni residuo di rappresentatività politica degli eletti, rafforzando la natura leaderistica della politica: si va in Parlamento solo se il capo lo vuole, quindi quieti e orecchie basse. E infatti, il premier stesso ha detto che “chi non vota in Parlamento il Job Acts non verrà ricandidato”. Facendo strame in un colpo dell’art. 67 della Costituzione, della finzione delle “Parlamentarie” e del principio che l’eletto risponde innanzitutto ai propri elettori, non ai propri capi.
Come non bastasse, l’Espresso di questa settimana documenta la “Grande Spartizione” nascosta dalla finta abolizione delle province, con il megainciucio tra PD e centrodestra, tutelati dal disinteresse diffuso e non più costretti neppure a farsi una campagna elettorale territoriale… E con questo sistema folle e opaco dovrebbe essere eletto il futuro Senato della Repubblica…
Insomma, per farla breve, siamo in questa situazione. Un premier non eletto da nessuno controlla la quasi totalità del suo partito il quale – con il 25% dei voti – ha il 48% dei seggi in Parlamento. L’opposizione non esiste, i corpi intermedi neppure, il sistema elettorale è pensato per rendere nei fatti inutili le campagne elettorali e a livello territoriale la spartizione regna incontrastata e il solo partito con qualche struttura – il PD – avrà nell’ipotesi più positiva 250.000 iscritti, mentre gli altri soggetti (tutti assieme) non arrivano alla metà.
Un sistema democratico può reggere così? Se la democrazia è competizione tra opzioni, interessi e programmi diversi, questa vischiosa poltiglia grigia come farà a garantire rappresentanza, legame con le esigenze della società, ricambio, trasparenza e controllo?
Quanto ci vorrà prima che anche questa III Repubblica sprofondi nel baratro e – dalle ennesime macerie – ne emerga una IV, mentre ancora stiamo spalando via i cocci della I?
Marco Cucchini | Poli@rchia (c)