04/08/2014 – Ho sempre amato e mai votato il PRI. Ne amavo la severità calvinista, il rigore, la cultura, la chiarezza delle scelte (tutte giuste, con il senno di poi… capitalismo temperato, atlantismo, europeismo, patriottismo costituzionale…) e – forse – questo essere pervicacemente “minoranza”, sempre bastian contrari. E nel PRI avevo un debole per Giovanni Spadolini, il “mio” premier preferito.
Giovanissimo professore di Storia, giovanissimo direttore di quotidiani importanti, primo presidente del Consiglio non democristiano dell’Italia Repubblicana, il giorno in cui venne chiamato da Pertini al Quirinale, Indro Montanelli scrisse “oggi Giovannone scenderà felice le scale del Quirinale stringendo tra le mani il giocattolo più bello e desiderato della sua carriera di bambino prodigio: l’Incarico”.
Perché Giovannone era felice dei riflettori, della pompa, dei rituali solenni, dei corazzieri, delle alte uniformi, delle coccarde e delle feluche, dei broccati di Palazzo Madama. Come tutti noi appassionati di Storia amava farne parte e sono convinto che – da presidente del Consiglio o da presidente del Senato – non prendesse decisione senza non chiedersi “cosa avrebbe fatto Camillo? e Urbano? e Bettino?” (non “quel” Bettino, quell’altro. Quello onesto.)… Perché Giovannone la Storia non solo la conosceva, ma la praticava e nel ricoprire un ruolo istituzionale ne portava dietro – compiaciuto e ridente – tutta la consapevolezza di incarnare qualcosa di più di un semplice ruolo politico. E infatti, Giovannone fu leader di partito, ma il suo ruolo vero non era quello del capocosca politico, ma del Magistero Istituzionale. Spadolini fu sempre – da storico, da giornalista, da politico – uomo delle Istituzioni. Lo si vedeva e lo si sentiva, nei suoi discorsi, così eleganti, così ricchi di riferimenti storici, così lessicalmente complessi… così nobilmente “parlamentari”.
Delle Istituzioni amava la dignità, la retorica, la solennità, la continuità e la tradizione. Le Istituzioni “si servono”, “si incarnano”, non ci si va “a lavorare”. Era un uomo dell’800 liberale e il PRI era un po’ come lui: Ugo La Malfa, Bruno Visentini, Rosario Romeo, Leo Valiani, Francesco Compagna, Libero Gualtieri… Tutti gentiluomini un po’ retrò uniti da rigore, culto dello Stato, onestà personale indiscussa. Erano Mazziniani: dunque laicissimi, dunque patrioti, dunque rigorosissimi e intellettualmente raffinati… Ma negli anni ’80 andava per la maggiore il socialismo Craxiano, che era garibaldino: un poncho, pochi slogan facili facili, spada sguainata e via andare!
Giovanni Spadolini, che incarnava il meglio della I Repubblica, non riuscì ad essere traghettato anche nella II. Senatore a vita dal 1991, sul seggio più alto di Palazzo Madama dal 1987 cercò di essere rieletto nel 1994, pur gravemente malato. Ma nel centrodestra trionfante vigeva già lanouvelle vague che contraddistinguerà i successivi 20 anni: la voglia di “prendere tutto” e quindi – pur essendo i “destri” in minoranza – si espressero in modo contrario alla riconferma di Giovannone, lanciandogli contro la candidatura dell’inutile Scognamiglio. Nei primi due scrutini Giovannone fu in testa, nel terzo i due candidati risultarono alla pari (159 a 159) e permanendo anche nel IV scrutinio tale rapporto, avrebbe vinto Spadolini in quanto candidato più anziano… Però c’erano ancora 6 voti non espressi (e su una scheda fu trovata la scritta “in vendita”…). Iniziò il commercio notturno e – puff – con il quarto scrutinio ci fu il sorpasso: Carlo Scognamiglio 162-Giovanni Spadolini 161.
Guardavo attonito alla televisione, spaventato per la “nuova politica” che stava arrivando… E ricordo Giovannone, smagrito e affaticato per la malattia, ma gonfio di ira per l’affronto subito sibilare con la sua “evve” da intellettuale: “questa gente gioca a dadi con le Istituzioni”. Non lo si vide più. il 4 agosto 1994 morì.
Qualche mese dopo si svolse la solenne commemorazione nell’aula del Senato. Cosa inconsueta, c’era nel palco presidenziale il presidente della Repubblica. C’erano gli ambasciatori di Stati Uniti e Israele (i grandi amici di Giovannone). C’era molto pubblico e c’era Marckuck, in completo antracite e cravatta nera. In quel torrido autunno 1994 mi trovavo a Roma per raccogliere materiale per la tesi di laurea (non c’era internet, si fotocopiava) e la mia postazione quotidiana era la biblioteca della Camera di via del Seminario. Quindi, non potevo certo perdere l’occasione di andare – silenziosamente – a salutare Giovannone e a ringraziarlo per quel suo modo di fare Politica così lontano dai tempi volgari in cui a entrambi ci è toccato vivere.
Entrai timoroso nel palchetto assegnatomi e quando mi accorsi che seduto a fianco a me c’era Renzo De Felice, viso torvo e appoggiato al bastone beh, avevo paura anche di respirare, per non dar fastidio all’Illustre Storico. Però sbirciai per godermi la vista d’insieme. Presiedeva Scognamiglio e sotto di lui tra i banchi del Governo c’era Silvio I assorto ad ascoltare Giulianone Ferrara con il gesso al braccio, ministro dei rapporti con il Parlamento, intento a ricordare Giovannone nella risposta governativa alla elegantissima commemorazione di Bruno Visentini che avevo ascoltato godendo di ogni parola…
Poi guardai sotto, nell’emiciclo… I parlamentari del PDS e del Partito Popolare c’erano quasi tutti. E anche i Senatori a vita: Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Amintore Fanfani. Ma la maggioranza di governo era quasi totalmente assente. Ricordo di aver contato appena 12 presenti su complessivamente 155 eletti nel centrodestra: assenti il 92% dei senatori di Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale.
Perché a loro di commemorare Giovanni Spadolini – così solenne, così colto, così onesto – non interessava. Spadolini era il passato. Loro erano il Nuovo. Erano il Futuro. Quel Futuro nei cui liquami stiamo ancora sguazzando tutti…
Autore: Marco Cucchini (C) Poli@rchia