Ucraina, il nuovo muro d’Europa

Ucraina, il nuovo muro d’Europa

(DOMINIQUE FAGET/Getty Images)

Ucraina

La scorsa settimana è stato firmato a Bruxelles l’Accordo di associazione (AA) tra Ucraina e Unione Europea. Anzi la parte economica, visto che quella politica era già stata sottoscritta a marzo. Si è chiuso così quel capitolo che era iniziato nel novembre del 2013 quando erano scoppiate le proteste europeiste a Kiev dopo che l’allora presidente Victor Yanukovich aveva dato una sterzata verso la Russia, non firmando l’Accordo e optando per un rapporto economico e politico più stretto con Mosca. La rivoluzione di febbraio ha però cambiato ancora una volta le carte in tavola, il nuovo blocco di potere in Ucraina ha fatto marcia indietro e compiuto un passo verso l’integrazione europea, con l’AA che prevede anche l’intesa per la creazione di un’area di libero scambio con l’Unione Europea (Dcfta).

L’avvicinamento di Kiev a Bruxelles fa parte di un’ampia strategia con la quale l’Europa tenta da tempo di agganciare le ex repubbliche dell’Unione Sovietica che sono alla ricerca dell’emancipazione da Mosca. Il programma di Eastern Partnership (Partenariato orientale) coinvolge dal 2004 non solo l’Ucraina, ma anche la Bielorussia, l’Armenia, l’Azerbaigian, la Moldavia e la Georgia. Queste ultime due hanno sottoscritto l’AA il 27 giugno insieme con l’Ucraina. Le altre sono invece ancora lontane dall’integrazione auspicata da Bruxelles. I motivi dei diversi percorsi adottati a Minsk, Erevan e Baku, rispetto a Kiev, Chisinau e Tbilisi sono differenti, legati sia a questioni interne sia ai rispettivi rapporti con la Russia, che se nel caso dell’Ucraina non è riuscita a mettere ostacoli sulla via dell’Europa, negli altri (Bielorussia, Armenia) ha avuto successo proponendo come alternativa l’Unione Euroasiatica. Il caso dell’Azerbaigian, ex repubblica sovietica che grazie alle sue risorse energetiche è in grado di condurre una politica indipendente ed equidistante, è invece a sé stante.

Bielorussia

La repubblica retta in maniera autocratica da Alexander Lukashenko da ormai vent’anni ha scelto la via dell’integrazione economica con la Russia, respingendo di fatto le avances europea del Partenariato orientale. Con l’avvio dell’Unione Euroasiatica (Eau) dal 2015, Minsk fa parte del progetto di integrazione delle ex repubbliche dell’Urss che Vladimir Putin ha lanciato in risposta alla Ue. Già nel 2010 la Bielorussia aveva aderito all’Unione doganale accanto a Russia e Kazakistan, spinta da esigenze interne e dai conflitti con Bruxelles, che non ha mai trovato la chiave politica ed economica per avvicinare davvero Minsk.

La crisi ucraina ha fatto da acceleratore per la concretizzazione dell’Eau e Putin, che certamente avrebbe preferito Kiev come partner nell’alleanza euroasiatica, non si è scomposto troppo puntando appunto su Minsk e Astana. Lukashenko, non preso tra due fuochi come Victor Yanukovich, si è adagiato sulle posizioni russe ben sapendo che non aveva alternative, con lo spettro dell’effetto domino di Maidan sempere presente. Inoltre, al di là delle relazioni traballanti con l’Ue, la Bielorussia non ha mai avuto l’idea di instaurare rapporti con la Nato. Accanto infatti alla Eastern Partnership, l’Occidente (Ue e Stati Uniti) hanno sempre puntato sull’ingresso nell’Alleanza Atlantica dei Paesi dello spazio postsovietico (le repubbliche baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania – sono entrate nella Nato nel 2004): il duello tra Occidente e Russia non è tanto tra Unione Europea e Mosca, quanto tra l’Alleanza atlantica, quindi sostanzialmente la Casa Bianca, e il Cremlino.

Armenia

Al pari della Bielorussia, la piccola repubblica del Caucaso è legata con doppio filo alla Russia: da un lato la prospettiva dell’EAU e dall’altro l’accordo per la base russa di Gyumri, la cui permanenza sul territorio armeno è prevista almeno sino al 2004, fanno di Erevan un alleato di Mosca. Il Partenariato orientale europeo non è mai stato preso troppo sul serio e la funzione di protezione che la Russia ha da sempre assunto nel nodo insoluto del Nagorno-Karabakh ha reso sostanzialmente inutile gli approcci di Bruxelles. Come nel caso della Bielorussia, il legame con Mosca passa anche attraverso il gas e i due Paesi sono gli unici che pagano tariffe inferiori ai 200 dollari per 1000 metri cubi. Prezzi di favore legati nel caso di Minsk al fatto che Gazprom possiede i gasdotti bielorussi e in quello di Erevan alla fedeltà economico-militare.

Azerbaigian

La linea della famiglia Alyiev, prima Heidar ora Ilham, è stata quella di tenere buoni rapporti con tutti, da Mosca a Washington, passando per Bruxelles. L’Eastern Partnership è stata l’occasione per approfondire le relazioni energetiche tra Baku e Bruxelles, ma sull’altro lato Mosca ha mantenuto comunque forti rapporti. L’Azerbaigian, unico Paese musulmano a far parte del programma europeo, non ha aspirazioni di vera integrazione e conduce una politica basata sul pragmatismo economico. Anche la questione della Nato non è una priorità e se le multinazionali americane dell’energia sono attive nel Caspio ormai da vent’anni, i tentativi di influenza di Washington si sono arrestati a livello embrionale. Piuttosto è da notare come l’approccio di Bruxelles verso Baku, determinato dalla necessità dalla sete di gas e petrolio dell’Europa e dalla volontà di diversificazione dalle vie russe, sia esente dalle critiche che si sono riversate invece sull’Ucraina di Yanukovich. Nonostante infatti l’Azerbaigian in fatto di standard democratici sia stato sempre dietro l’Ucraina, per l’Unione europea deficit della repubblica caucasica non sono stati d’ostacolo all’intensificazione dei rapporti economici. I negoziati per l’AA sono iniziati nel 2010, ma sono in alto mare, visto l’interesse relativo da parte di Baku.

Moldavia

A Chisinau l’Accordo di associazione e il Dcfta sono stati firmati alla fine di giugno e come nel caso di Kiev si tratta di un passo simbolicamente importante, ma che dovrà essere valutato appieno dopo la ratifica e l’implementazione. La Moldavia è stata sottoposta come l’Ucraina a forti pressioni da parte di Mosca e i problemi che sono in arrivo per l’attuazione dell’accordo non potranno che essere risolti a livello trilaterale. Come nel caso degli altri Paesi del Partenariato orientale, la sottoscrizione dell’accordo non prevede automaticamente l’ingresso futuro nell’Unione Europea come membro a tutti gli effetti e proprio in questo punto sta la debolezza di tutto il programma, che se apre le porte per la cooperazione economica e propone il sostegno politico per i processi di democratizzazione, non implica l’entrata nel club di Bruxelles. AA e Dcfta sono accordi standard, firmati anche da Paesi africani, mediorientali e americani, che non assicurano certo l’integrazione reale. La Moldavia, la cui partecipazione alla Nato non è proprio all’ordine del giorno, ha inoltre il problema della Transnistria da risolvere. Quello tra Chisinau e Tiraspol è un altro dei conflitti scoppiati con il crollo dell’Unione sovietica e rimasti congelati sino ad ora. La crisi ucraina ha messo in allarme la piccola repubblica incastonata tra Ucraina e Romania proprio perché in Transnistria sono stazionate truppe russe e l’esempio della Crimea non è lontano né temporalmente né geograficamente.

Georgia

Anche a Tbilisi l’annessione della penisola sul Mar Nero da parte della Russia ha aperto ferite lontane e recenti, quelle che hanno portato alla guerra del 2008 e all’indipendenza di Abcasia e Ossezia del sud. La Georgia è la più filoccidentale delle repubbliche ex sovietiche, sin dalla rivoluzione delle rose che nel 2002 aveva portato al potere Mikhail Saakashvili. Da allora l’accelerazione verso l’integrazione nell’Ue e nella Nato è stata notevole, anche se ha subito qualche rallentamento con il conflitto di sei anni fa. I rapporti con la Russia sono ancora complicati, ma il nuovo blocco di potere che fa capo all’oligarca Bidzina Ivanishvili ha ridotto i conflitti con il Cremlino prediligendo la linea del pragmatismo.

Autore: Stefano Grazioli | Fonte: linkiesta.it

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