25/06/2014 – In principio era il manifesto “realista”, vagamente enfatico, tronfio, pedagogico, a seconda dei casi fobico e/o agiografico. Era il tempo lungo in cui conveniva tacere, perché il nemico poteva sennò risalire a chissà quali segreti (“TACI IL NEMICO TI ASCOLTA!”), il tempo in cui i comunisti banchettavano a cosciotti di bambini, e Dio ti osservava fin dentro la cabina elettorale. La grafica era ispirata a quella magniloquente delle affiche cinematografiche: se epos va a braccetto con lareclame, la politica ci va a nozze. Poi la rivoluzione copernicana, sullo sfondo dei dieci anni – 68/78 – che sconvolsero il mondo: tutt’altro che un pranzo di gala, anche sotto l’aspetto della propagandistica muraria: una galassia di movimenti, a destra come a sinistra; una miriade di sigle; una gragnola di slogan e tratti grafici sulla scorta del maggio francese, ma anche dell’underground contestatario statunitensi, della lotta latinoamericana, della grande cartellonistica maoista cinese. E’ l’ora di codici comunicativi meno ingessati, della sperimentazione, del fumetto, del calembour incisivo (“VOMITATE QUI” – piuttosto che VOTATE -, a corona del faccione di un Nixon ritratto a rango di bersaglio mobile), dell’immagine irriverente: comincia la sinistra extraparlamentare, movimenti no war e femministi seguono a ruota e anche i partiti istituzionali si adeguano loro malgrado, sfidandosi persino sul terreno di una proto-pubblicità comparativa (“LA FIAMMA CHE UCCIDE”, si legge su un manifesto del PCI del 1972, là dove il riferimento alla fiamma è a quella fascista del simbolo MSI).
Si prosegue lungo e dritto su questa scia fino ai subdoli anni Ottanta (morbidi nella forma durissimi nei contenuti), quando la forza pervasiva dello spot tv non ne lascia a nessuno, soppiantando in modo esponenziale la comunicazione politica per via “cartacea”, intonandone il de profundis, di pari passo a quello del significante nel linguaggio di tutti i giorni.
Ho compendiato a passo sostenuto, ma se dovesse interessarvi l’analisi più in dettaglio andate al corposo saggio che William Gambetta edita per DeriveApprodi. Si intitola “I muri del lungo ’68. Manifesti e comunicazione politica in Italia” e si offre, senza alcun dubbio, come la fenomenologia più approfondita pubblicata sin qui sull’argomento, per risalire alle radici del quale, con le parole di Gambetta
“le ragioni (della rivoluzione contenutistico-formale del manifesto politico, n.d. r.) furono diverse. In primo luogo, la crescita dei consumi di massa, determinata dal miracolo economico, favorì l’applicazione anche sul mercato italiano di più aggiornate tecniche pubblicitarie, con evidenti mutamenti anche di carattere politico. In secondo luogo, nuovi fermenti artistici e culturali, provenienti soprattutto dall’estero, tesero a svecchiare i linguaggi iconografici dei decenni precedenti (…). Inoltre, lo sviluppo tecnologico trasformò anche il sistema dei mass-media (…) Senz’altro, però, le trasformazioni più profonde dei linguaggi e delle rappresentazioni della politica furono indotte dall’emergere di un inedito protagonismo delle nuove generazioni con il Sessantotto”.
Poco da fare: è difficile sottrarsi alle ricadute dell’anno del Signore 1968. Come la metti metti si torna sempre lì: ancora a quell’anno, ancora a “quelle” istanze”, ancora a “quella” generazione. Il pregio del volume è dato anche da un corpus sostanzioso di illustrazioni a colori fuori testo.
Fonte: sololibri.net