Un sistema di buon senso…

Un sistema di buon senso…

Si dibatte – tanto per cambiare – di riforma elettorale e aleggia nell’aria la sensazione che non accadrà nulla perché un altro giro di “porcellum” forse può convenire ai partiti, che sono sempre più evidentemente privi di capacità di rinnovamento e decisione.

Non mi importa più di tanto discutere su questa o quella bozza presentata da questo o quel Saggio, ma voglio partire da quello che servirebbe (a mio parere, ovvio), per proporre un meccanismo realistico, semplice e razionale. Sono convinto che il sistema elettorale utile all’Italia debba avere le seguenti caratteristiche:

  • Mettere fine allo sconcio delle liste bloccate e favorire un riavvicinamento tra eletti ed elettori, in una chiave di responsabilizzazione e controllo;
  • Favorire la semplificazione del quadro politico senza comprimere artificialmente la rappresentanza ma consentendo processi riaggregativi di sensibilità politiche tra loro compatibili;
  • Mantenere una competizione di tipo bipolare.

Molte sono le vie per ottenere uno o due dei punti sopra indicati, ma è difficile riuscire a realizzare contemporaneamente l’insieme delle finalità che ho indicato e certo tale risultato non può venire conseguito dal sistema elettorale vigente, con il suo premio di maggioranza che genera instabilità, le sue ridicole 6 diverse clausole di sbarramento che non sbarrano e la rigidità castale delle liste bloccate, che ha totalmente snaturato il principio democratico di rappresentanza.

Riflettendo sui sistemi elettorali vigenti, l’attenzione mi è caduta su un modello solo in apparenza minore: il Voto Alternativo e su questo ho lavorato per adattarne le regole al contesto italiano. Il Voto Alternativo è usato – con varianti leggere – in alcuni significativi contesti: la Camera dei Rappresentati australiana, la presidenza indiana, la presidenza irlandese, il leader del partito laburista britannico, nonché in talune rilevanti competizioni locali degli Stati Uniti, tra le quali quelle per eleggere i governi cittadini di San Francisco e Minneapolis. E’ inoltre il sistema proposto per la riforma elettorale della Camera dei Comuni britannica (dal partito liberale) e per la Camera dei Lords, una volta terminato l’iter di riforma delle sue funzioni e della sua composizione. Pertanto, si tratta di un sistema poco noto, ma non irrilevante. Il meccanismo del Voto Alternativo è semplice nella sua filosofia: ottenere i benefici di una competizione maggioritaria a doppio turno in un turno unico (e infatti è noto anche con il nome di “instant runoff”, cioè “ballottaggio istantaneo).

Nella sua variante più rilevante – quella australiana – il sistema funziona nel modo seguente:

a) La competizione avviene per collegi uninominali;

b) L’elettore indica sulla scheda il grado di preferenza nei confronti di ciascuno dei diversi candidati in competizione, numerandoli da 1 (preferenza massima) a x (dove x sta per il numero dei candidati in lizza e quindi, qualora questi siano 5, il meno gradito tra tutti sarà indicato con il numero 5);

c) Qualora un candidato ottenga il 50% delle prime preferenze viene proclamato eletto;

d) Qualora nessun candidato ottenga il 50% delle prime preferenze, il candidato che ha ottenuto il minor numero di prime preferenze viene escluso dalla competizione e le sue seconde preferenze vengono redistribuite tra i candidati rimasti in lizza. Se neppure in questo modo un candidato ottiene il 50% allora si redistribuiscono le preferenze del penultimo e via a escludere fino a quando il quorum non viene raggiunto.

Nell’esperienza australiana (la più rilevante, visto che questo sistema è adottato dal 1917) questo meccanismo ha prodotto un pluripartitismo limitato e una collaborazione tra partiti politici contigui finalizzata all’attribuzione delle seconde preferenze, favorendo i candidati più capaci di essere attrattivi anche oltre il proprio elettorato identitario, con un positivo impatto sulla stabilità complessiva del sistema. Nella variante italiana, il sistema potrebbe essere adottato con alcuni aggiustamenti:

  • I 508 seggi della Camera dei Deputati (se la riforma costituzionale approvata in prima lettura al Senato andrà in porto) verranno attribuiti sulla base di 475 collegi uninominali (già disegnati dal vecchio “mattarellum”) e 33 seggi sulla base di liste nazionali concorrenti e riparto proporzionale quale “quota di tribuna” in favore dei soggetti politici minori (con sbarramento del 3%);
  • In ciascuno dei 475 collegi l’elettore potrà indicare una prima preferenza e una seconda preferenza. Il candidato che risulta vincente con il 50% di prime preferenze viene eletto. Il sistema in questo caso funziona quindi come un classico “first past the post” all’inglese;
  • Nel caso in cui nessuno dei candidati abbia ottenuto il 50% di prime preferenze, allora vengono esclusi tutti gli altri candidati eccetto i primi due e le seconde preferenze dei candidati esclusi sono ripartite, come in un ballottaggio; Il candidato risulta eletto qualora a seguito di tale conteggio ottenga almeno il 40% dei voti, questo per favorire candidature “aggreganti” a scapito di quelle nettamente identitarie;
  • I collegi nei quali nessun candidato raggiunga almeno il 40% delle preferenze (in prima o seconda battuta) vengono riassegnate con riparto proporzionale su base circoscrizionale e previo scorporo dei voti utilizzati per eleggere i deputati nei collegi uninominali che hanno prodotto un eletto. Questo meccanismo favorisce l’accesso alla rappresentanza ai partiti territoriali e a quelli di media dimensione;
  • I 33 seggi residui (5% dell’assemblea) verranno attribuiti su liste nazionali, previo scorporo dei seggi ottenuti dai partiti a livello circoscrizionale. La lista nazionale consente di dare un “diritto di tribuna” alle forze più piccole, che hanno conseguito un risultato minimo del 3% sul territorio.

Al Senato della Repubblica il sistema potrebbe funzionare allo stesso modo, con la sola esclusione di una lista nazionale in coerenza con quanto stabilito dall’art. 57 Costituzione che prevede una elezione “su base regionale”. Volendo riassumere, quindi, il sistema riesce a rispondere alle 3 esigenze ricordate in apertura perché il meccanismo del collegio uninominale favorisce la responsabilizzazione dell’eletto verso l’elettore (e la prevalenza di candidature trasversali su quelle strettamente castali); la modalità di riparto delle preferenze e il recupero proporzionale (eventuale) su base circoscrizionale favorisce la rappresentanza delle forze politiche più significative sul territorio. Infine il gioco delle doppie preferenze, incentiva un “voto utile” che rafforza la dinamica politica bipolare.

Si potrebbe chiedersi: perché non un semplice doppio turno alla francese? Risposta semplice: innanzitutto per contenere i costi (motivo meschino ma fondato) e poi – ragione principale – perché la ricerca fin da subito di una “doppia preferenza” (che è cosa diversa dall’accedere al ballottaggio) impone ai partiti una crescita qualitativa nella scelta delle candidature per la necessità di andare oltre il proprio steccato. Insomma, si tratta di un sistema semplice e di buon senso. Dunque non ha speranza di esser mai preso in considerazione da qualcuno…

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