Campagna elettorale: quello che si fa, quello che si dovrebbe fare…

Campagna elettorale: quello che si fa, quello che si dovrebbe fare…

E’ il paradosso della consulenza elettorale: più il potenziale cliente ne ha bisogno, meno se ne rende conto… In queste settimane di scouting ci imbattiamo in siti orrendi, foto improponibili, testi sgrammaticati, profili social dimenticati. Eppure, quando ci proponiamo per supportare il candidato e aiutarlo a riportare un po’ di decoro, non di rado ci sentiamo dire “il sito? Ma ce l’ho? Non lo ha visto? Le foto? Le ha fatte un mio amico, non è un professionista ma è bravissimo! I testi? Ah guardi, non ci fosse mia figlia che li scrive…”

Ora, è vero che nessuno vince o perde le elezioni solo perché ha fatto bene o male un santino. Però una cosa l’abbiamo imparata in tutti questi anni: ogni singolo aspetto, nel suo piccolo, concorre al risultato finale e fare male qualcosa non aiuta mai. Ed è per questo che le molte volte in cui ci viene chiesto di occuparci di comunicazione, non ci tiriamo mai indietro.

Ma l’assenza di cura per il materiale comunicativo è secondaria rispetto ad altri limiti, assai più diffusi e molto più gravi. Penso all’assenza di risorse umane ed economiche destinate allo studio del proprio mercato elettorale o all’indifferenza verso la necessità di entrare in contatto con gli stakeholders del territorio che si vuole rappresentare.

Il nostro studio di consulenza, infatti, tra i servizi che propone – oltre a quelli più classici legati alla comunicazione o al management della campagna – ha inserito a catalogo tutta una serie di proposte volte ad analizzare nel dettaglio il mercato elettorale in base all’analisi storico-comparativa della distribuzione delle preferenze degli elettori, dei cambiamenti socio-economici avvenuti o in atto, così come attraverso l’individuazione di potenziali criticità o opportunità in essere. Inoltre, abbiamo sempre creduto nell’importanza di valorizzare il principio di rappresentatività del candidato rispetto agli elettori, operando per mettere il primo in contatto con i potenziali portatori di interesse più coerenti con il suo profilo politico professionale e umano. Insomma, ci impegniamo per favorire l’incontro tra domanda politica offerta politica, nella convinzione che una campagna elettorale più mirata sia anche più economica, più efficace e – in ultima analisi – più trasparente e democratica.

Questo genere di servizi sono spesso ignorati. Le ragioni sono molteplici: richiedono tempo e i candidati il più delle volte preferiscono rimanere nascosti sotto le foglie il più a lungo possibile in base al perverso pregiudizio che “se ti esponi ti bruci”. Quindi iniziano a fare campagna elettorale sempre molto tardi e tendono a privilegiare servizi volti a costruire processi di comunicazione, nella convinzione errata che i 30 giorni prima del voto siano giorni di semina e non di raccolto. Ed è un’illusione.

Questo limite si vede principalmente nei candidati espressione della cosiddetta società civile. Ne abbiamo seguiti parecchi, alcuni con risultati positivi altri meno, come sempre accade in questi casi. Ma raramente ci siamo trovati di fronte alla possibilità di impostare una campagna nei modi e nei tempi che sarebbero necessari. Il paradosso è che non si tratta di un problema di soldi, anche perché il candidato ritardatario finisce per spendere più di quello che dovrebbe. Si tratta di poca consapevolezza in relazione al ruolo che si vuole ricoprire.

Candidarsi senza sapere chi si vuole rappresentare e senza conoscere adeguatamente il proprio territorio significa il più delle volte gettare tempo e denaro. Fino a quando I candidati outsider non saranno consapevoli che l’impegno politico non è fatto solo di santini e cravatte ben annodate non andranno da nessuna parte. Fare politica, candidarsi alle elezioni, essere eletti è anche una complessa attività intellettuale e di ricerca, altrimenti il rischio – concreto – è esporsi, metterci la faccia, un bel po’ di migliaia di euro e rimanere con il classico pugno di mosche. Nel 2013 alle elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia tutti i partiti hanno eletto praticamente solo amministratori locali o consiglieri uscenti. Sono quelli che vivono il territorio, sono quelli che si sono fatti politicamente conoscere per anni, sono quelli che hanno potuto usare il denaro pubblico per politiche localistiche (quando va bene) o clientelari (quando va male). La sola eccezione, ovviamente, per gli eletti del M5S che nessuno conosceva tranne i parenti e gli amici. Infatti, il più votato tra i “grillini” sarebbe arrivato 8° nelle liste del PDL e addirittura 17° in quelle del PD.

Si dice sempre che la politica non deve essere una professione, si invoca sempre il ruolo e la valorizzazione della società civile. Ma questa fantomatica società civile, concretamente, che cosa fa per essere valorizzata? Noi crediamo nel valore democratico della consulenza politica. Naturalmente, da professionisti seri, continueremo a occuparci di santini e di cravatte ben annodate se questo ci viene chiesto, ma da cittadini informati e consapevoli non ci stancheremo di pretendere dalla politica e dai politici di più e di altro.

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

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