Pd, «Pagelle» per i dem ospiti dei talk

Pd, «Pagelle» per i dem ospiti dei talk

«A partire da domattina, una persona dell’ufficio stampa del Pd dovrà guardare i talk show a cui partecipano esponenti del partito e poi stendere un report. Dobbiamo capire meglio chi va bene e chi male, chi funziona e chi no. Perché così non si può andare avanti». L’ordine di scuderia è partito lunedì da quelle stanze dell’asse Palazzo Chigi-Nazareno dove, sulle cose di casa, si puote ciò che si vuole. E infatti ieri, a cominciare dai talk show della prima mattina, un dipendente del Nazareno è stato incaricato di «schedare» i piddini presenti in tv segnalando i punti di forza della performance e quelli di debolezza, quello che va e quello che no.
È la prima contromossa a quei «problemi di comunicazione» di cui s’è scoperto vittima il partito di Matteo Renzi. E di cui si è parlato ieri l’altro nella riunione, alla quale erano stati invitati i parlamentari, in cui il premier ha messo in fila tutti i punti di debolezza di un partito che non comunica come dovrebbe.
Uno dei tanti uomini comunicazione dei Democratici, che dietro la garanzia dell’anonimato racconta dettagli ancora inediti dell’adunata di lunedì, allarga le braccia: «Stiamo messi male. Uno convoca una discussione riservata sui problemi di comunicazione e si trova davanti a gente che manda i tweet da dentro la sala. Manco l’abc…». E non era che il primo, dei tanti segnali d’allarme.
Tanto per dirne un’altra, quando dal tavolo della presidenza il premier s’era messo a chiedere – a mo’ di professore di fronte a una scolaresca a metà tra il timido e il l’impreparato- «che riforme abbiamo fatto?», dalla platea, in mezzo a parole tipo «scuola» e «giustizia» pronunciate a mezza bocca, qualcuno ha azzardato come risposta anche «la riforma della pubblica amministrazione». Costringendo Renzi ad allargare le braccia: «Ma come? Quella dobbiamo ancora approvarla in via definitiva…». Vista la preoccupazione dei vertici, tra i peones del partito affetti dalla sindrome da video l’ansia si è moltiplicata. Anche perché è evidente che pure il Pd, come ogni squadra che si rispetti, divide i suoi eletti tra titolari e riserve, tra persone da spingere verso le seggiole dei talk show e altre da tenere lontane (per quanto possibile) dalle telecamere.

Della prima categoria fa parte un pacchetto di mischia che viene considerato «efficace». Ne fanno parte, in ordine sparso, Ernesto Carbone, Filippo Taddei, le giovani deputate Anna Ascani e Simona Malpezzi, la vicesegretaria del partito Debora Serracchiani, il milanese Emanuele Fiano più la campana Pina Picierno, che ha risalito molte posizioni nel ranking dopo aver risposto a brutto muso a un «permette, signorina?» rifilatole durante la trasmissione L’Arena di Giletti da Matteo Salvini («Signorina lo dici a tua sorella», era stata la replica).
Curiosità: tolto Carbone, che comunque era cresciuto alla scuola prodian-lettiana dell’ex ministro Paolo De Castro, degli altri nessuno ha il dna del renziano della primissima ora. Non Taddei (ex civatiano), non il tandem Serracchiani-Picierno (vengono dall’area di Franceschini) e nemmeno la Ascani, ancora censita tra le lettiane (nel senso di Enrico).
Di questa «first class» facevano parte anche l’ex responsabile Giustizia Alessia Morani, che ha pagato una vecchia performance a Ballarò . E anche il sottosegretario Davide Faraone, che ha avuto la sfortuna di difendere in tv quella riforma della scuola che per i sondaggi del Pd è stata un dramma. Le liste, ovviamente, non tengono conto della «terza categoria» di parlamentari che gestiscono in proprio la loro comunicazione, come Khalid Chaouki e Simona Bonafè.

Col monitoraggio delle presenze tv avviato ieri, si riparte da zero. Ciascuno dovrà rendere al meglio, di fronte alla telecamere. E ovviare agli inconvenienti di cui la deputata Annamaria Parente s’è lamentata alla riunione di ieri l’altro alla presenza di Renzi. «L’altra volta mi hanno chiamata in tv a parlare di Jobs act. Poi è partito un servizio sugli animali domestici. Mi dite come faccio a parlare di Jobs act in quel contesto?». Gelo in sala .

Tommaso Labate | Fonte: corriere.it

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