Nel Capitolo XIX del Principe – intitolato “Che si debbe fuggire l’essere disprezzato e odiato” – Machiavelli si sofferma sulla figura dell’Imperatore Romano Publio Elvio Pertinace, messo sul trono a seguito dell’assassinio di Commodo per riportare dignità e decoro all’istituto imperiale e assassinato a sua volta appena poche settimane dopo, proprio perché stava riportando dignità e decoro.
Nota Machiavelli che “Pertinace fu creato Imperadore contro alla voglia de’ soldati, li quali, essendo usi a vivere licenziosamente sotto Commodo non poterono sopportare quella vita onesta, alla quale Pertinace gli voleva ridurre; onde avendosi creato odio, ed a questo odio aggiunto dispregio per l’esser vecchio, rovinò ne’ primi principii della sua amministrazione.”
Cioè, la virtù stessa come causa della sua caduta. Mi è tornato in mente questo passaggio leggendo l’articolo che il New York Times ha dedicato a Roma e al sindaco Ignazio Marino e – in particolare – la frase pronunciata da Carlo Bonini: “His virtue is also his main problem: He is not connected to all the rotten Roman relationships,” (“la sua onestà è anche il suo problema principale non essendo collegato al marcio sistema di relazioni romano”).
Insomma, la virtù come un problema. Come un indice di “estraneità” non solo penale, ma anche politica, sociale, quasi antropologica. Come a dire che – chi deve governare Roma – sarebbe bene fosse un po’ corrotto, così, tanto per essere più in sincrono con il genius loci della Città Eterna.
E’ per questo che, forse, il virtuoso Marino sta vivendo le sue ultime ore al Campidoglio. Presto potrebbe cadere sotto il fuoco incrociato degli scioperi selvaggi e felloni dei dipendenti dei pubblici servizi comunali (che ricordano un po’ la funzione eversiva svolta nel Cile del 1973 dai camionisti), delle lobby che vogliono il ritorno alle vecchie pratiche lottizzatorie e della componente renziana del PD che – nella sua bulimia di potere – cerca di destabilizzare tutti i governi dei quali non è parte dominante (come anche Giuliano Pisapia a Milano deve aver notato…).
Ignazio Marino ha certo un bel po’ di limiti. Non conosce la città, non ha doti di leadership, non è a capo di una corrente strutturata, non ha “suoi” uomini nei gangli del potere, non ha senso dell’umorismo e non ha capacità autocritiche e questi sono problemi pesanti per chi vuole fare politica a tali livelli. Ed essere perbene – cosa non negata, anzi rinfacciata – non basta per governare la Grande Meretrice, ingestibile dai tempi di Marco Aurelio. E dopo?
E dopo! Dal 1993 ad 2013 (anno di elezione di Pertinace/Marino) il centrosinistra ha governato per 15 anni, il centrodestra per 5. Ma le varie inchieste su “Mafia Capitale” dimostrano che non esiste una grande differenza tra le due coalizioni, che il malcostume è assolutamente trasversale e per certa gente non importa chi governa, visto che le porte sono sempre aperte… Tranne quella di Marino. L’Estraneo.
Dovesse cadere Ignazio Marino la via maestra sarebbero le elezioni. Ma a cosa servirebbero, di grazia, visto che il sistema di potere marcio che ha distrutto Roma è ancora lì, con le sue preferenze drogate, con le sue reti lobbistiche, con la microcorrutela diffusa, con la cialtroneria imperante… I casi sarebbero due: o vince un altro Marziano (e quindi ci si ritrova con un Marino2) o vince uno correo con il sistema di potere (e quindi il malcostume ne esce rafforzato).
La mia paura è che per Roma il gioco sia comunque a perdere, sia comunque in negativo e che forse – a ben vedere – meglio che rimanga l’Estraneo, il Marziano fino al 2018. Magari con meno ostacoli posti dal governo e dal suo partito…
Marco Cucchini | Poli@rchia (c)