Senato: non è l’elettività il problema

Senato: non è l’elettività il problema

Sta per ripartire l’iter della riforma costituzionale e la sensazione è che permangano alcuni errori di fondo. Il primo errore lo fece il premier quando affermò che il nuovo Senato sarebbe stato a costo zero, mentre l’ultimo lo sta compiendo la minoranza interna del PD, insistendo sull’elettività diretta. A mio avviso, invece, prima di decidere quanto debba costare un’istituzione e come debbano esserne selezionati i componenti sarebbe più opportuno chiedersi “per fare cosa” e quanto le modalità di selezione della membership e i poteri attribuiti siano coerenti con l’impianto originale.

L’idea di partenza è stata individuare nel Senato l’organo di raccordo tra Stato e istituzioni territoriali. Nei mesi intercorsi tra la prima versione proposta dal governo e quella approvata in I lettura alla Camera si sono aggiunte e tolte funzioni, senza mai intaccare la mission originaria di un Senato espressione dei governi regionali e locali.

Affinché gli eletti nel Senato rappresentino effettivamente l’istituzione territoriale di provenienza è però necessaria l’individuazione di modalità in base alle quali gli orientamenti di voto all’interno dell’assemblea e più in generale le modalità di esercizio del mandato siano volte a far prevalere le logiche della rappresentanza territoriale su quelle di appartenenza politica o partitica.

La proposta del governo – delegare ai consigli regionali l’indicazione della larga maggioranza dei componenti Senato – non funziona. Questo perché la scelta ad opera in un’assemblea rappresentativa di maggioranza e minoranze porterebbe inevitabilmente alla riproposizione in sede di voto e successivamente nel lavoro d’assemblea delle dinamiche competitive tra partiti. Ad esempio, il senatore leghista eletto da un consiglio a maggioranza di centrosinistra o il senatore del PD eletto da un consiglio a maggioranza di centrodestra come voterebbero nel nuovo Senato? Probabilmente non seguirebbero le indicazioni provenienti dalla maggioranza consiliare che avversano, bensì agirebbero come esponenti del partito di cui sono espressione. A maggior ragione questo avverrebbe con una elezione diretta (o “semidiretta”). Immaginiamo forse che un consigliere scelto dal corpo elettorale in opposizione a una maggioranza di governo regionale poi in Senato si conformerebbe alle indicazioni della parte politica che lo ha sconfitto? Perché mai dovrebbe farlo?

Se si vuole coerenza tra le finalità sistemiche del nuovo Senato, la selezione della membership e l’agire quotidiano del senatore all’interno dell’assemblea non si può che fare riferimento al modello più efficace e rigoroso esistente: il Bundesrat tedesco, i cui componenti sono indicati dai governi dei singoli Laender e votano con vincolo costituzionale di mandato. Per capirci, i 6 consiglieri federali della Baviera sono espressione diretta del governo bavarese e votano uniti sulla base delle indicazioni da questo ricevute.

Pertanto, se si vuole che il Senato sia realmente rappresentativo del sistema delle autonomie territoriali i suoi membri devono essere indicati dai governi e devono operare con vincolo di mandato. Altrimenti avremo una seconda camera partitocratica esattamente come la prima, ma priva di legittimazione diretta.

Inoltre – ed è la seconda domanda – a che serve una Camera di raccordo tra centro e periferia se viene simultaneamente soppressa la legislazione concorrente? Il Senato dovrebbe servire infatti a ricomporre al vertice possibili criticità e frizioni in relazione alle competenze legislative esercitate in periferia, ma se queste vengono eliminate, che cosa mai si dovrebbe ricomporre?

Si tratta del più generale problema delle competenze. La relatrice Finocchiaro ha dichiarato che “se la Camera è il perno della forma di governo, il Senato deve essere il perno della forma di Stato”. Tale visione, presa sul serio, richiederebbe un rafforzamento delle scarsissime funzioni oggi attribuite a un’assemblea in cerca d’autore. E con esse sarebbe necessaria una revisione della membership ipotizzata. Infatti, se si ritiene che il Senato debba essere più incisivo per quanto riguarda i controlli e le garanzie perché mai una responsabilità così delicata dovrebbe essere delegata a personalità espressione delle assemblee elettive locali? Perché dovrebbero essere un sindaco o un consigliere regionale ad occuparsi di Authority o di diritti delle persone? Forse – a questo punto – l’iniziale formulazione del Governo con 21 senatori di nomina presidenziale non era poi priva di fondamento.

La Costituzione non si cambia ogni giorno e visto che si voterà nel 2018 se serve qualche settimana per fare un lavoro più efficace non casca il mondo. Vale la pena citare un precedente. Nel 1999 la foga modernizzatrice di Tony Blair impose l’House of Lords Act che eliminava l’ereditarietà quale principale criterio di accesso alla Camera Alta. Il governo laburista però non seppe far seguire alla pars destruens una pars costruens e il sistema entrò in modalità “provvisoria” in attesa del completamento di una riforma non ancora giunto. A metà della scorsa legislatura il governo Cameron presentò una proposta formale per una riforma organica del sistema parlamentare. Però l’iniziale ampio consenso sui contenuti della riforma andò affievolendosi e nel settembre 2012 il governo annunciò il formale ritiro del progetto rinviandolo a “quando le condizioni saranno più favorevoli”. Senza drammi, crisi o ricatti reciproci.

Qui non si chiede di ricominciare tutto da capo. Però a volte un passo indietro un “riflettiamo” non è necessariamente segno di debolezza. L’incaponirsi su soluzioni rabberciate e incomplete per finalità di marketing politico, quello si che lo è. E sarebbe imperdonabile.

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

One Reply to “Senato: non è l’elettività il problema”

  1. Le faccio i complimenti per l’articolo che spiega molto bene la situazione.
    Le lascio in lettura quello che scrissi io a suo tempo che è molto simile :

    La proposta che ho formulato alcni giorni fa riguardo il senato elettivo è sensata.

    Il senato può avere un ruolo politico oppure territoriale, nel primo caso è giusto il sistema elettorale proporzionale e determinate competenze su determinate materie, nel secondo caso essendo territoriale è piu giusto un sistema uninominale ed altre competenze perchè il ruolo di camera territoriale è diverso da quello ricoperto da una camera politica.

    Quindi nella formulazione di alcuni giorni fa proponevo un senato territoriale con 100 senatori eletti nei 100 collegi dell’italicum con il sistema uninominale.

    Con questo non voglio dire che l’italicum vada bene, non sono propriamente i 100 collegi il problema principale di quella legge, ma tutto il resto.

    Dunque l’ipotesi vede 100 senatori eletti, in questo caso è indifferente la possibilità che si sciolga o meno il senato, che si voti lo stesso giorno delle elezioni politiche oppure di quelle regionali, infatti gli elettori avranno una propria scheda elettorale distinta.

    Poi ci sono i rapporti maggioranza minoranza all’interno del consiglio regionale, la cosa piu semplice è quella di non turbare in alcun modo gli equlibri del consiglio, che decide autonomamente la propria legge elettorale, ma di assegnare di diritto ai 100 senatori un posto in consiglio regionale senza avere diritto di voto.

    Il seggio senza diritto di voto serve per collegare le istituzioni all’interno delle aule.

    Stesso discorso vale per i presidenti di regione e per i presidenti di provincia, diventerebbero senatori senza diritto di voto.

    In questo modo quando c’è un tema da sollevare lo possono fare direttamente in senato, quando c’è un tema trattato che li vede coinvolti possono essere partecipi in prima persona e rispondere.

    Si risolve così il problema del senato dei “dopolavoristi”, perchè risulta evidente che l’assenza del diritto di voto sarà il deterrente che eviterà di partecipare a sproposito alle sedute.

    Dunque i 100 senatori sono 100 senatori, il passaggio in consiglio regionale avviene perchè i consiglieri possono essere informati sull’andamento dei lavori e possono proporre la presentazione di emendamenti di cui i senatori si fanno carico durante l’iter parlamentare.

    Non è un senato delle autonomie, è comunque un senato dei territori.

    Non è piu un senato “politico” ma se un territorio vuole una risposta dal governo lo può chiamare in causa direttamente in aula.

    Non ho scritto nulla sulle competenze di questa camera territoriale, infatti benchè i senatori siano eletti dai cittadini ed abbiano legittimazione popolare hanno un ruolo politico, ma certamente non sarebbe un senato capace di deliberare sulle leggi “etiche” ma su leggi che riguardano i territori e qui casca l’asino.

    https://giamps78.wordpress.com/2015/07/09/dal-senato-dei-nominati-dopolavoristi-al-senato-dei-territori/

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