Per lungo, lunghissimo tempo – almeno dai tempi del salotto della contessa Maffei nella prima metà del XIX° secolo – la “ruling élite” di Milano ha sempre avuto la fama di progressismo, di impegno civile. In tempi recenti, però, questa propensione civica pare essersi fortemente indebolita, al punto che la “borghesia progressista” pare addirittura disinteressata alle imminenti elezioni amministrative. Lo racconta Stefano Rolando per arcipelagomilano.it
Strana l’atmosfera sociale e civile di Milano rispetto al futuro di Palazzo Marino. Mentre ci sono giudizi più distesi sul successo della città, rispetto a tanti indicatori di trasformazione e attrattività, c’è perplessità sulla politica locale prossima ventura. Qualcuno dice che, per prima, è la borghesia milanese che sta troppo ferma. Quando si dice borghesia milanese ormai si ha il dovere di precisare un po’. Non più i salotti dei doppi cognomi o delle famiglie celebrate dell’età industriale; non più il circuito finanziario una volta legittimato attorno a Mediobanca; non più la stretta “consulta araldica” degli intellettuali protagonisti del teatro, dell’editoria, del design e dell’architettura. Il cambiamento sociale tra l’ultima parte del ‘900 e il nuovo millennio ha ormai connotato diversamente il concetto di borghesia.
Allargando i confini, abbassando l’età, internazionalizzando i requisiti, ibridando famiglie e ampliando il territorio di riferimento. E anche con un po’ più di anonimato rispetto ai circuiti chiusi che appartengono alle città provinciali. Questo, infatti, succede in una città che – per connessioni e vocazioni – entra con qualche diritto nei processi globali. I sociologi preferiscono parlare di “classi dirigenti” perché ormai il declino dei contenitori sociali del nostro passato prossimo si è compiuto: il proletariato è oggi occupato (nel mondo) dai senza terra-senza patria-senza libertà; la classe operaia è “in paradiso” (per citare un famoso film, in realtà è residuale); la borghesia non ha più i suoi confini storici e ha una certa evanescenza rispetto alla politica. A pochi piace ma la tendenza appare più evidente: la società (televisivamente, commercialmente, culturalmente) si è ricondotta alla dimensione maggioritaria piccolo-borghese. Come si vede da molti indicatori dei consumi e degli stili di vita. E un carattere della piccola borghesia è di essere non propriamente appassionata agli “affari pubblici”, ma di produrre una buona carrettata di candidati.
Il Corriere della Sera ha gettato un sassolino nell’acqua a proposito di Milano: dove si è cacciata quella “borghesia progressista” che tra il 2011 e il 2013 si è agitata prima per Pisapia alle amministrative poi per Ambrosoli alle regionali perché riteneva di essere responsabile di quel diritto (normale in democrazia) di cambiamento e di alternanza alla fine di cicli ormai politicamente improduttivi? La tesi dell’articolo (Elisabetta Soglio) è stata: stanno tutti alla finestra dietro l’insegna “ora chi me lo fa fare?”.
Tra chi si è assunto qualche responsabilità nelle due vicende citate, proprio sul fronte di una certa agitazione civica, sostanzialmente in sintonia con quell’indistinto che continuiamo a chiamare borghesia progressista, proverei ad aggiungere qualche riflessione. Sì, è vero che quelle che potremmo chiamare in senso più ampio “le classi dirigenti” del territorio paiono stare alla finestra. Ma dappertutto: a sinistra, al centro, a destra. Con l’uscita di scena di Letizia Moratti è scomparso uno degli aggregatori plausibili tra i nomi importanti del centro-destra. E nel centro-sinistra pare che la decisione di non ricandidarsi di Giuliano Pisapia lasci tutti orfani. Non solo tra gli addetti ai lavori ma anche tra chi – vasta platea – ritiene che avere un sindaco per bene sia già una bella conquista con i tempi che corrono.
Averne uno non iscritto a partiti e non fazioso (cioè favorevole a larghe alleanze e a equilibri ormai importanti a Milano tra partiti e sensibilità civiche) sia un elemento di modernità. Averne uno che asseconda grandi cambiamenti tenendo la barra dritta sulla legalità e sul realismo dei conti pubblici sia addirittura virtuoso. Sapendo bene che non esiste più al mondo il sindaco demiurgo che risolve qualunque cosa. Alla domanda: trovatene uno di pari qualità, in più non inventato, espressione di una storia significativa delle generazioni milanesi che hanno dato un contributo alla costruzione del presente, i più appaiono smarriti, non preparati. Quelli magari più vicini all’identikit si guardano bene da dire qualcosa perché – lì la Soglio ci ha colto – “chi me lo fa fare?”.
Un certo posizionamento c’è, si leggono proposte, con nomi di qualche rilievo. Ma riguarda progetti importanti ma settoriali. Che dipendono da una sostanziale continuità amministrativa, senza strappi e senza rischi, assicurata dal “clima amministrativo” che Pisapia ha determinato, anche a giudizio dei suoi oppositori o di chi gli rimprovera “poca visione” (ma la città ha fatto cambiamenti che non erano possibili senza un accompagnamento responsabile delle istituzioni territoriali e Milano sa che non è certo la Regione che ha lavorato per la sua, come sempre ostica, capitale).
Fa parte del “clima” avere chiaro che il centro-destra ha ormai in Salvini e non in Berlusconi l’azionista di riferimento. Il che rende qualunque proposta nasca in quell’ambito – la più civica, la più centrista, la più moderata – molto rischiosa per gli interessi generali della città, che sono per la grande maggioranza di chi a Milano vive e lavora all’opposto del modello anti-europeo, anti-globale, anti-italiano, anti-borghese, anti-culturale che Salvini, per fare il pieno dei consensi vandeani che rappresenta, ha deciso di incarnare e che forse gli darà dividendi altrove.
Fa parte del “clima” considerare il PD di Renzi ineludibile circa una buona soluzione di governo della città, ma con la chiarezza che la scelta per Milano non può essere etero-diretta da Roma, che l’evoluzione del gruppo dirigente locale di quel partito deve ancora esprimere leadership consolidate nella percezione dei cittadini, che il protagonismo politico di partito del PD favorisce i grillini (che per gli elettori milanesi sono autentici sconosciuti, anche se con seguito) che vengono invece naturalmente contenuti da soluzioni che appaiono “d’interesse generale della città”.
Mi fermo qui. Non ho una proposta di nomi. Ma qualcosa sul metodo (oggi Milano, domani forse anche Roma) mi pare oggi doveroso discuterla. Fare qualche ragionamento ora mi parrebbe meglio che fare solo qualche sondaggio in più.
Stefano Rolando – Arcipelago Milano (www.arcipelagomilano.it)