L’ultimo rapporto lancia l’allarme: il 61% degli utenti vive in Paesi dove le critiche al governo sono soggette a censura. Il 58% risiede invece in posti in cui blogger e cittadini finiscono in carcere
Il terrorismo, combattuto anche online. Le reazioni e le scelte, a volte discutibili se non pericolose, dei governi. La criminalità. Lospionaggio. La sorveglianza indiscriminata. Mentre il Parlamento Europeo non decide sulla neutralità della rete e anzi lascia ampi spazi ai colossi delle telecomunicazioni – ma questa è l’altra faccia della medaglia – la ong statunitense Freedom House di Washington avvisa: il livello di libertà di internet continua a scendere. Nel dettaglio, smotta per il quinto anno consecutivo.
Sempre più governi, insomma, ricorrono alla censura tentando di imbavagliare il web. Nel frattempo, come dimostra la legge sui servizi segreti approvata dal Senato francese lo scorso luglio, la sorveglianza si espande e la privacy si comprime. Il che dà anche da pensare rispetto al forse eccessivo entusiasmo con cui abbiamo accolto la recente sentenza della Corte europea sui dati dei cittadini europei inviati alle data factory statunitensi di Facebook e compagnia: il cosiddetto accordo Safe harbor sta per essere ristrutturato e sottoscritto, con alcune modifiche che, più avanti e sulle spalle delle singole autorità nazionali, dovranno essere di nuovo passate al vaglio.
Un primo dato, dunque, è evidente: se nella percezione di buona parte dell’opinione pubblica occidentale internet è un luogo di libertà e opportunità, altrove (e dunque, per l’interconnessione di cui si nutre, anche per noi) questa è una storia che non regge più. Anzi, il quadro che ne esce è di una pressione sempre più fortedelle amministrazioni su compagnie private e cittadini. Per paradosso, il Datagate, pur scoprendo le carte, sembra aver definitivamente sottratto ogni freno: “I governi sanno che l’utente medio è diventato più tecnologicamente consapevole e sempre più in grado di schivare i blocchi imposti dall’alto” ha spiegato Sanja Kelly, project director di Freedom on the Net. Non a caso nel mirino finiscono sempre più spesso anche gli strumenti per criptare e proteggere i dati delle comunicazioni cercando l’anonimato.
Attivisti dei diritti umani e giornalisti indipendenti sono i bersagli preferiti. Ma non è solo un problema di chi si batte per un mondo più giusto. Lo studio della ong ha infatti rilevato un dato spaventoso: il 61% degli utenti di internet vive in Paesi dove critiche al governo, alle forze militari o alla legislazione sulla famiglia sono state soggette alla censura online. Il 58%, dunque quasi lo stesso perimetro, vive invece in posti in cui blogger ecittadini sono finiti in carcere per aver condiviso contenuti su argomenti politici, sociali o religiosi.
Considerando che nel mondo quattro miliardi di persone sono tagliate fuori dalla rete, la prospettiva muta drasticamente. Semmai, è una commodity – e neanche tanto, visto lo stato delle connessioni italiane – per una minoranza di Paesi. Secondo gli ultimi dati della Un Boradband Commission for Digital Development di Itu e Unesco, infatti, entro la fine dell’anno appena il 43,4% della popolazione mondiale potrà accedere al web (e in questo caso si usano volontariamente i termini web e rete come sinonimi). Dentro quella pur ampia minoranza c’è a sua volta una maggioranza che la rete non può viverla liberamente. Mi pare che il dato sia evidente: internet non è per tutti, internet non è libera ovunque. Dunque, molto semplicemente, non è quel paradiso che raffiguriamo.
I temi più censurati sono le critiche alle autorità, le notizie su guerre e conflitti, quelle sulla corruzione per i massimi vertici statali o figure di spicco della finanza e dell’industria, i siti deimovimenti e partiti di opposizione, la satira. In generale, la libertà di espressione sembra essersi ridotta in 32 dei 65 Paesi esaminati. In 42, per esempio, le autorità hanno richiesto a internet privider o utenti di eliminare contenuti su argomenti di un certo tipo e in 40 nazioni sono state imprigionate delle persone per aver condiviso informazioni.
Non basta: le leggi sulla sorveglianza si sono moltiplicate. In questo si è fatta sentire la strage di Charlie Hebdo, sebbene la tendenza sia registrata dal giugno 2014. In 14 Paesi su 65 i governi hanno approvato nuovi provvedimenti che aumentano il controllo in maniera stringente e moltissimi hanno migliorato i loro strumenti.
Fra i peggiori del mondo ci sono Cina, Siria e Iran. Fra i Paesi che hanno perso più posizioni Libia, Francia e Ucraina. Molto si è mosso, migliorando il quadro, in Sri Lanka e Zambia. L’Italia è inclusa nelle nazioni libere con un punteggio di 21 dove 0 è il livello migliore e 100 il peggiore. Una situazione da controllare, si tratta pur sempre di un’erosione che sfiora un quarto del rating.
All’appello mancano diversi Paesi, da quelli scandinavi alla Spagna passando per buona parte dell’Africa. Fra le aree verdi spiccano Stati Uniti, Canada, Brasile, Giappone, Australia ed Europa. Fra quelle gialle, parzialmente libere, ci sono Turchia, India, Colombia, Venezuela, Indonesia e Messico. La massima censura vige in Russia, Kazakshtan, Cina, Birmania, Thailandia, Vietnam, Egitto, Cuba, Iran, Pakistan, Siria e molti altri Paesi.
Fonte: wired.it | Autore: Cosimi Simone