Lasciamo da parte l’entusiasmo o i timori del momento e cerchiamo di leggere in modo oggettivo quanto è accaduto in Spagna: la destrutturazione del sistema partitico “classico”. Infatti, se nel 2008 (le ultime elezioni prima della Grande Crisi) il tasso di bipartitismo (cioè la somma percentuale dei voti conseguiti dalle due maggiori forze politiche) era pari a 83.8%, nel 2011 era sceso al 73.4% e ieri al 50,7%. Cioè in soli 7 anni 1/3 degli elettori spagnoli ha abbandonato i partiti tradizionali in favore di nuove forze, considerate più capaci di proporre soluzioni al passo con i tempi.
Il dato spagnolo non è eccentrico. Nel 2007 (elezioni legislative) la somma dei due principali partiti democratici francesi (il PSF e l’UMP) era del 64,2% (81% se consideriamo le coalizioni), nel 2012 il 56,4% (81,4% le coalizioni) mentre nelle regionali di poche settimane fa il dato dei due partiti “storici” principali è del 50,8%. Nel 2006 in Italia l’Unione (centro-sinistra) e la Casa delle Libertà (centrodestra) rastrellano complessivamente il 98,8% dei voti, mentre nel 2013 la percentuale scende al 58,6%, il 40% in meno. I vecchi equilibri tengono sostanzialmente nel Regno Unito (malgrado il dato importante registrato dalla destra euroscettica di UKIP con circa il 13% dei voti e il crollo liberale con la perdita di 2/3 dei propri voti alle elezioni politiche dello scorso maggio) e in Germania (dove però il partito antieuropeista Alternativa per la Germania ha mancato nel 2013 l’ingresso in Parlamento per pochissimi voti, fermandosi al 4,7% a un passo dalla soglia del 5% necessaria per ottenere rappresentanza, superata di slancio alle Europee del 2014).
Nelle principali democrazie europee esiste quindi un bacino elettorale più o meno ampio di forze politiche “euroscettiche” e “anticasta” (quando non addirittura antisistema) e la vecchia dicotomia tra sinistra riformista e destra liberale si dimostra sempre più incapace di rappresentare una parte della popolazione assai diversa dal punto di vista socioeconomico (emarginati, piccoli imprenditori, pensionati, giovani delusi…) ma unita nell’ostilità verso l’ordinario corso delle cose e alla ricerca di soluzioni più decise, più drastiche.
In taluni casi, la forza manipolativa del sistema elettorale (come nel Regno Unito e in Francia) riesce a nascondere il dissenso sotto il tappeto. Ma dove la rappresentanza è più orientata a un modello proporzionale (come in Spagna) ecco che il contrasto tra vecchio e nuovo esplode in modo plateale. E quindi le domande da rivolgere alle classi politiche di tutta Europa sono tre:
- Vi rendete conto che – letto da destra, da sinistra, dal centro – l’esplodere di nuove forze politiche è unito dal desiderio di cambiare alla radice le politiche socio-economiche e la natura stessa dell’Unione Europea così com’è oggi?
- Siamo/siete pronti a mettere in discussione i dogmi liberisti e burocratici che hanno governato l’Unione negli ultimi 8 anni?
- Percepite la necessità di una rilegittimazione democratica dei diversi sistemi politici nazionali o preferite ostinarvi dietro tecnicismi volti a nascondere il disagio, piuttosto che rappresentarlo o risolverlo?
Sinistra riformista e destra liberale devono rileggere i propri fondamentali e – direi – ricercare la ragione della propria distinzione e la loro capacità di parlare alla propria gente prima che a qualche grattacielo belga. Devono ritrovare coraggio e fantasia, cultura e passione per la politica. Altrimenti verranno spazzati via. Non oggi, ma forse domani si…
Infine una noterella sull’Italia. In queste ore c’è in atto una buffa santificazione dell’Italicum. “Da noi certe cose non succederanno, noi abbiamo un sistema che la sera del voto ti dice chi vince e chi perde”. In realtà noi abbiamo un sistema concepito per produrre “un padrone” piuttosto che una virtuosa competizione bipolare e – con il micidiale meccanismo del ballottaggio tra singoli partiti (un unicum mondiale) – rischia di trasformare nei fatti il secondo turno in un referendum pro o contro il sistema, con sfida all’ultimo voto.
Proprio quello che ci serviva per normalizzare la politica: una roulette russa.
Marco Cucchini | Poli@rchia ©