Sanders vince lo scontro più duro: ora per Hillary è un rivale vero

Sanders vince lo scontro più duro: ora per Hillary è un rivale vero

Il senatore del Vermont ha vinto parlando, ancora una volta, di diseguaglianze, di tassare le speculazioni finanziarie e sciogliere le grandi banche perché «troppo grandi per fallire». Clinton ha perso secondo l’applausometro e i social network. È stata preparatissima, volendo presidenziale, è riuscita più volte a rintuzzare Sanders, ma non ha risposto a parecchie domande.

In certi momenti hanno fatto pensare a Jack Lemmon e Walter Matthau nella Strana coppia, solo un po’ più vecchi, e incattiviti. Comunque a uno sketch newyorkese, per via dell’accento di Brooklyn di Bernie Sanders, dell’aria «badass», tosta nonostante l’ostilità e i «buuu» di molta parte della platea, di Hillary Clinton (per due ore, Bernie ha dato della bugiarda a Hillary, e Hillary lo ha guardato come si guarda un cretino). E del pubblico, che a Brooklyn era arrivato per il dibattito democratico — stavolta a cura della Cnn — più feroce e atteso; e ha fatto il tifo come a una partita dei New York Knicks, o a una puntata di Saturday Night Live, dove lo scontro di stanotte verrà reinterpretato, domani, di sicuro.

Il tema della disuguaglianza

Sanders ha vinto parlando, ancora una volta, di diseguaglianze, di tassare le speculazioni finanziarie e sciogliere le grandi banche perché «troppo grandi per fallire» e perciò a carico dei contribuenti, di salario minimo a 15 dollari l’ora mentre Clinton si è adeguata ma è per un aumento graduale, passando per 12 dollari. Di incarcerazione di massa (effetto anche del Crime Bill della presidenza Clinton, Bill, votato da Sanders, peraltro; lui l’ha attaccato, Hillary si è scusata). E di università pubbliche gratuite, oggi gli studenti sono indebitati a vita. E «tuition free? Damn right!», retta gratis? E certo!, potrebbe diventare uno dei suo slogan più efficaci, tra i più giovani che sostengono Bernie.

Preparata ma evasiva

Clinton ha perso secondo l’applausometro e i social network. È stata preparatissima, volendo presidenziale, è riuscita più volte a rintuzzare Sanders, ma non ha risposto a parecchie domande. Non sui 675 mila dollari che Goldman Sachs le ha dato per fare dei discorsi, né sul fracking, né su Israele (l’ebreo Bernie ha parlato dei palestinesi; Hillary, un tempo giudicata troppo filopalestinese, ha fatto melina e non sembra aver messo a rischio il voto del 65 per cento degli ebrei democratici che nello stato di New York intendono votarla). Non su un sistema sanitario nazionale (per la verità lei aveva provato a creare qualcosa di simile, senza successo, un quarto di secolo fa), né sui finanziamenti elettorali senza limiti che hanno trasformato gli Stati Uniti in un’oligarchia di fatto (anche se, mentre evitava di rispondere sulla sentenza Citizen United della Corte Suprema sul tema, ha difeso per la prima volta in questa campagna il diritto all’aborto sempre più spesso a rischio negli stati repubblicani). Ha vinto nettamente solo sulle armi: Sanders, senatore del rurale Vermont, ha molte volte votato «pro-guns», e Hillary ha insistito molto su questo, a New York la lobby delle armi non è popolare.

I cori per Bernie

Sulle uscite a effetto di Bernie, Hillary ha commentato: «È facile diagnosticare un problema, è difficile agire per risolverlo». Sulle rivendicazioni di competenza di Clinton, Sanders è andato pesante: «Metto in dubbio la sua capacità di giudizio». Oltre ai suoi legami con i «donatori ultraricchi» (Sanders ha annunciato che renderà pubblica oggi la sua situazione finanziaria e fiscale, da lui definita «noiosa»). Clinton, da ex segretario di Stato, è parsa forte quando ha parlato di politica estera, nonostante le obiezioni di Sanders sui disastri in Medio Oriente. Ha difeso l’investimento americano nella Nato citando interventi alleati ed espansionismo russo. Ha spesso citato Obama, in modo strumentale, secondo alcuni, e dandogli poi la colpa dell’intervento mal pensato in Libia e degli scarsi appoggi all’opposizione in Siria; tutto vero, ma nominarlo molto e poi scaricarlo è stata forse la mossa peggiore del dibattito. Meglio è andata quando Sanders ha cercato una nuova rissa e lei gli ha fatto presente che si trovavano in «vigorous agreement», vigorosamente d’accordo. Per poter fare la sua dichiarazione finale, ha dovuto aspettare che si spegnessero i cori «Bernie, Bernie» alla fine dell’intervento dell’avversario.

La sfida di New York

Ora avversario vero, dati gli ultimi otto caucus e primarie vinti su nove e il molto entusiasmo che suscita. E i sentimenti quando va bene tiepidi verso Clinton, vista come portabandiera dell’establishment in un Paese impoverito, giudicata poco sincera. Comunque avanti, in questa primaria complicatissima, ieri i sondaggi la davano dieci punti percentuali su Bernie a New York; poi si vedrà. Sanders dice di voler portare la battaglia fino alla convention; potrebbe succedere se conquistasse voti delle minoranze, finora è successo, in parte, solo in Michigan. Jane Sanders, sua moglie, ha detto ieri che loro voteranno Hillary in caso di sua nomination. A New York si vota martedì. E Clinton saprà se la sconfitta nel dibattito di Brooklyn ha ridimensionato o compromesso la sua vittoria annunciata (è previsto un ultimo dibattito tra i due sfidanti, a maggio, dopo altre primarie quasi tutte in stati dell’East Coast finora favorevoli a Hillary; non si sa ancora dove si terrà, e a che punto saranno i candidati, e se si azzufferanno, più di stanotte).

Fonte: corriere.it | Autore: Maria Laura Rodotà

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