Le primarie americane sono agli sgoccioli

Le primarie americane sono agli sgoccioli

Il senatore Bernie Sanders ha vinto le primarie del Partito Democratico in Oregon mentre Hillary Clinton ha vinto in Kentucky, in due degli ultimi stati che dovevano ancora partecipare al processo di selezione del candidato del partito alle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 8 novembre. In Oregon si è votato anche per le primarie del Partito Repubblicano, vinte facilmente da Trump che non ha più avversari.

Sanders in Oregon ha vinto con il 53,6 per cento dei voti contro il 46,4 per cento di Hillary Clinton, la cui sconfitta era stata prevista dai sondaggi: secondo i conteggi ufficiosi Sanders avrebbe recuperato in tutto tre o quattro delegati. In Kentucky i sondaggi e le analisi precedenti al voto avevano previsto una vittoria di Sanders, invece Clinton ha vinto di pochissimo e potrebbe esserci un riconteggio: ha ottenuto il 46,8 per cento dei voti, contro il 46,3 di Sanders. I risultati in ogni caso non alterano il corso delle primarie, che sono ormai praticamente decise: per rimontare, Sanders dovrebbe vincere in tutti i nove stati che devono ancora votare con circa 35 punti percentuali di vantaggio. Sulla base di quello che è successo in questi mesi negli altri stati si tratta di uno scenario non plausibile: in California, per esempio, che assegna da sola più delegati degli altri otto stati messi insieme, Clinton ha un solido vantaggio nei sondaggi.

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Hillary Clinton si trova quindi da settimane in una posizione particolare, cioè con due avversari: il primo è Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano che sfiderà alle elezioni di novembre, e che si è già liberato di tutti i suoi sfidanti alle primarie; l’altro è Bernie Sanders, che ha deciso di restare in corsa fino alla fine e con l’avvicinarsi della fine delle primarie non ha moderato i suoi toni. Durante il comizio che ha tenuto stanotte dopo le primarie in Oregon e Kentucky, Sanders ha ribadito che può ancora vincere e ha accusato il Partito Democratico di voler escludere alcuni elettori dai processi decisionali. Quando i suoi sostenitori hanno intonato un coro “Bernie o niente!” o altri contro Clinton, non li ha interrotti o corretti.

Diversi osservatori hanno fatto notare che a questo punto, a primarie praticamente finite, i partecipanti a un comizio di Sanders sono persone piuttosto diverse dal suo elettore medio, e quindi che Clinton non dovrebbe necessariamente preoccuparsi per il sostegno di cui avrà bisogno da Sanders e dai suoi elettori alle elezioni di novembre. Ma ci sono anche segnali diversi: la settimana scorsa in Nevada i sostenitori di Sanders hanno protestato con violenza durante un congresso locale del partito, arrivando a tirare sedie sul palco e inviare minacce di morte alla presidente del partito (il Partito Democratico del Nevada in un comunicato ha accusato la campagna di Sanders di «incitare alle divisioni e alla violenza»).

Nel frattempo è in corso per Clinton l’altra campagna elettorale: martedì ha diffuso una dettagliata dichiarazione sui suoi guadagni e le sue tasse negli ultimi anni – che mostrano come abbia guadagnato 5 milioni di dollari dai diritti d’autore sul suo libro “Scelte difficili” e circa 1,5 milioni dalla sua attività di conferenziera – e ha di nuovo accusato Trump di nascondere qualcosa, visto che si rifiuta di diffondere le sue dichiarazioni dei redditi come è prassi tra i candidati alle elezioni presidenziali statunitensi. Sempre ieri Trump ha concluso un accordo per la condivisione della raccolta fondi con il Partito Repubblicano in diversi stati, cosa che permetterà agli elettori di donare cifre superiori a quelle previste per le sole campagne presidenziali.

Le primarie del Partito Democratico proseguono ora il 4 e 5 giugno in due stati che non contano moltissimo – Isole Vergini e Porto Rico – prima del 7 giugno, che vedrà votare insieme gli elettori di California, Montana, New Jersey, New Mexico, North Dakota e South Dakota. Il 14 giugno si voterà nell’ultimo stato, il District of Columbia.

Fonte: ilpost.it

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