Il prossimo referendum sulla riforma costituzionale è diventato una sfida molto difficile per chi crede che essa faccia gli interessi del Paese. Basta guardare gli schieramenti in campo. Contro la riforma si sono schierate tutte le opposizioni: M5s, Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Sinistra Italiana. Anche l’Udc si è dichiarata contraria. A favore della riforma c’è il solo Pd, e nemmeno tutto. Si sa già che D’Alema voterà contro. Non si sa ancora come si comporterà il resto della minoranza, ma i pronostici sono infausti. Quanto all’Udc e ai Verdiniani sulla carta sembrano schierati a favore, ma qualche dubbio sul loro effettivo coinvolgimento resta, visto che il loro futuro politico pende più a destra che a sinistra. Insomma, è evidente lo squilibrio di forze tra il fronte dei favorevoli e quello dei contrari. Se a Ottobre gli elettori votassero sulla base delle loro preferenze partitiche il risultato sarebbe una secca sconfitta dei riformatori. La sola speranza di successo del fronte del SI è quella di convincere chi non è un elettore del Pd che questa riforma rappresenta, pur con tutti i suoi limiti, un cambiamento utile al Paese. E nemmeno questo potrebbe bastare se una parte significativa degli elettori democratici dovesse astenersi o addirittura votare contro.
Anche i sondaggi confermano la difficoltà della sfida, ma i numeri –per quanto ancora poco affidabili- dicono che la partita è ancora tutta da giocare. In alcuni sondaggi i due schieramenti sono in parità, per altri il NO sarebbe in vantaggio. Tutti registrano una alta percentuale di indecisi. Visto lo squilibrio delle forze in campo, di cui abbiamo detto sopra, questi numeri non sono del tutto negativi per i sostenitori del SI. Sulla carta i NO dovrebbero prevalere largamente sui SI. Se non è così, come pare, vuol dire che la situazione a livello elettorale è più aperta di quanto accade a livello di schieramenti politici.
La qualità dell’informazione sarà la carta decisiva. Oggi la conoscenza dei contenuti della riforma è a un livello bassissimo in tutti gli strati della popolazione. Anche tra le persone più istruite. Troppa gente non sa cosa c’è dentro. Legge e sente argomenti pro o contro urlati sulle pagine dei giornali o nei talk show televisivi senza poter effettivamente valutarne la consistenza. Mancano le informazioni basilari. E così i sondaggi di oggi finiscono col registrare umori e non opinioni. In questo clima di ignoranza diffusa i fautori del No hanno buon gioco ad alimentare diffidenza e paure. Taluni di loro fino al punto di parlare della riforma come di un attentato alla democrazia. Per questo una informazione basata sui fatti, e non su astratte speculazioni intellettuali o su polemiche politiche strumentali, è essenziale per mettere gli elettori, soprattutto quelli indecisi, nelle condizioni di farsi una idea e non di esprimere solo un umore. Non sarà facile ma bisogna provarci.
Il referendum di Ottobre sarà un passaggio delicato per il premier, ma sarà un test ancora più importante per la democrazia italiana. Dopo trenta anni e passa di immobilismo istituzionale gli elettori dovranno decidere se questa riforma rappresenta un passo avanti o un passo indietro sulla strada della razionalizzazione del nostro sistema di governo. Questo è il punto. Non dovranno decidere se questa è una riforma perfetta. Non lo è. Poteva essere fatta meglio. E sarebbe stato meglio che fosse stata approvata in parlamento da una maggioranza più ampia. Renzi ci ha provato e per un tratto di strada ci è riuscito. Forza Italia ha votato gran parte delle modifiche costituzionali che saranno oggetto del referendum, oltre ad avere approvato per intero la riforma elettorale. Oggi il partito di Berlusconi si è schierato con il fronte del NO per ragioni che nulla hanno a che vedere con i contenuti della riforma. Che fiducia si può avere, alla luce di comportamenti del genere, che una nuova e migliore riforma si possa fare dopo aver bocciato questa ?
E allora meglio una riforma approvata a maggioranza che nessuna riforma. In Francia nel 1958 è andata così. La sinistra ha contrastato la costituzione della V repubblica fino a quando Mitterand è arrivato alla presidenza. E la costituzone del 1958 è ancora in vigore.
Alla fine non è il metodo che conta. Non dopo trenta e passi anni di tentativi falliti. La nostra carta costituzionale prevede che le modifiche si possano fare a maggioranza. A questo punto contano i contenuti. E su questi cercheremo di fare una opera di informazione puntuale basata sui fatti partendo da una prima e cruciale osservazione non su quello che la riforma fa, ma su quello che non fa. Agli elettori intimoriti e a quelli indecisi va detto chiaramente che la riforma non modifica di una virgola la prima parte della Costituzione. Non modifica di una virgola i poteri del presidente del consiglio. Non modifica di una virgola i poteri del presidente della Repubblica. Non modifica di una virgola i poteri della magistratura. Non modifica di una virgola i poteri della Corte Costituzionale. Quello che la riforma fa è importante ma limitato. Cambia la composizione e il ruolo del Senato. Ridisegna il rapporto tra le regioni e lo Stato. Introduce nuovi meccanismi di democrazia diretta. Modifica la procedura per la scelta del presidente della repubblica.
Sono queste le questioni su cui occorre fare chiarezza e su cui gli elettori dovranno giudicare i meriti e i limiti della riforma, lasciando da parte le loro simpatie o antipatie nei confronti del presidente del consiglio.
Autore: Roberto D’Alimonte | Fonte: Il Sole 24 Ore del 31 luglio 2016