Le poche ricerche empiriche che mettono a confronto compensi e qualità della classe politica sembrano indicare che se l’indennità è più alta, migliorano i risultati ottenuti dalle amministrazioni. Vale però per i governi locali. Più difficile valutare i deputati. Soprattutto se sono “nominati”.
Indennità e qualità dei politici
Arriva alla discussione in Parlamento la proposta – avanzata dal Movimento 5 Stelle – di ridurre l’indennità di deputati e senatori. In un periodo di crisi prolungata come quello che stiamo vivendo, è normale che l’opinione pubblica presti molta attenzione ai costi della politica: che credibilità può avere una classe politica che chiede sacrifici ai cittadini e si rifiuta di condividerne il peso?
Tuttavia, la questione va indagata più a fondo, soprattutto con il fine di capire se un taglio delle indennità ai parlamentari abbia solo benefici e nessun costo (a parte per le tasche dei deputati e senatori): in particolare, si tratta di analizzare la relazione esistente tra il compenso e la qualità del personale politico – intesa come capacità, livello di istruzione, spirito di servizio verso la cosa pubblica.
Da un lato, compensi ridotti potrebbero scoraggiare la partecipazione di individui con alta abilità, i quali avrebbero la possibilità di guadagnare di più in altri settori e dunque potrebbero preferire di starsene rigorosamente lontani dalla politica. Inoltre, quando c’è la possibilità di essere rieletti, remunerazioni più elevate possono incentivare un comportamento migliore (ad esempio, una maggior presenza in aula).
Secondo questa prospettiva, compensi elevati sono un prezzo necessario per avere una classe politica di buon livello. Dall’altro lato, se pensiamo che l’impegno politico debba anche riflettere una motivazione intrinseca, di spirito di servizio, indennità più elevate, attraendo candidati più opportunisti, potrebbero peggiorare la qualità della classe politica.
La teoria non riesce pertanto a dare risposte definitive sul rapporto tra compensi e qualità della classe politica. Occorre dunque cercare aiuto dall’analisi empirica. Gli studi non sono numerosi, ma ci danno qualche risposta. Tommaso Nannicini, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, insieme a Stefano Gagliarducci dell’Università di Tor Vergata, ha studiato il problema nel contesto dei sindaci. Il compenso di questi ultimi è legato alla popolazione del comune: quanto maggiore è la popolazione quanto maggiore è il salario. Hanno inoltre la possibilità di essere rieletti una volta e quindi hanno un incentivo, nel primo mandato, ad avere buoni risultati. Analizzando i comuni che sono appena sotto i 5mila abitanti e quelli appena sopra (così da beneficiare di un’indennità sistematicamente più elevata), lo studio mostra che remunerazioni più alte attraggono candidati con maggiore livello di istruzione, i quali – se eletti – migliorano l’efficienza della macchina amministrativa, riducendo le tariffe sui servizi e le spese correnti. Altro risultato importante è che il canale decisivo è quello della selezione iniziale dei candidati e non quello dell’incentivo a essere rieletti.
Uno studio di Tim Besley (London School of Economics) sugli stati degli Usa mostra come compensi più elevati abbiano l’effetto di portare all’elezione di governatori con una maggiore congruenza ideologica rispetto ai loro elettori.
Il problema è la legge elettorale
Questi studi sembrano fornire conforto a chi pensa che pagare compensi elevati possa rappresentare un costo sopportabile per tenere alta la qualità del personale politico. Ma in entrambi i casi si considerano elezioni in cui i cittadini scelgono direttamente tra gli individui che si candidano e in cui è facile osservare le caratteristiche e i risultati dei candidati. Non è chiaro come queste “lezioni empiriche” possano essere applicate a un sistema elettorale con liste bloccate. Anche se compensi più elevati fossero capaci di attrarre candidati migliori, quale meccanismo può garantire che siano collocati nelle posizioni più appetibili delle liste, cioè quelle “eleggibili”? Quali sono gli incentivi dei partiti a premiare le competenze invece della fedeltà? Senza contare che valutare la performance di un deputato in una Camera con più di 600 parlamentari è più difficile che valutare quella di un sindaco di un centro con 5mila abitanti.
Ci sorge il sospetto che sia meglio affrontare in maniera prioritaria le questioni relative alla legge elettorale prima di imbarcarci in quella, pur rilevante, dei compensi dei politici.
Fonte: lavoce.info | Autori: Fausto Panunzi e Riccardo Puglisi