L’Austria al voto: radiografia di un Paese diviso

L’Austria al voto: radiografia di un Paese diviso

Il 4 dicembre gli austriaci tornano alle urne per ripetere il ballottaggio per le presidenziali tra il verde Alexander Van der Bellen e l’ultranazionalista Norbert Hofer. Ma chiunque vincerà non sanerà facilmente una frattura profonda, sia ideologica che sociale.

Le 13° elezioni presidenziali austriache del 2016 verranno ricordate come le più imbarazzanti della storia repubblicana del piccolo Paese danubiano. Ricapitoliamo: dal regolare primo turno del 24 aprile era uscito vincente il candidato dei nazional-liberali della Fpö, il 45enne Norbert Hofer, che aveva distaccato di 14 punti l’ecologista Alexander Van der Bellen. Si rendeva dunque necessario un ballottaggio, che il 22 maggio aveva visto vincere per poco più di 30.000 voti il 72enne professore emerito di economia dell’Università di Vienna. Un esito che aveva subito fatto avanzare nelle file dell’estrema destra dubbi su possibili brogli. Cosicché la Fpö aveva impugnato il risultato con un ricorso per presunte irregolarità in 94 delle 117 circorscrizioni del Paese.
Incriminate erano in particolare le schede postali che avevano di fatto decretato la vittoria di Van der Bellen, e che non vengono mai scrutinate la domenica, alla chiusura dei seggi, bensì a partire dal lunedì mattina.

Le indagini svolte per appurare possibili brogli, e gli interrogatori di decine di scrutatori avevano rivelato che sì, in 14 circoscrizioni le buste con le schede postali erano state aperte già ore prima, o lo spoglio era avvenuto in assenza dei presidenti di seggio, e che comunque vi era stata una fuga di notizie in direzione di media e sondaggisti. Una pratica questa, che in Austria è un segreto di Pulcinella e per anni ha garantito attendibili proiezioni già pochi secondi dopo la chiusura degli ultimi seggi alle 17, con buona pace di tutti i partiti. Ma che questa volta ha fatto storcere il naso alla Fpö di Hans-Christian Strache e Norbert Hofer.

Così il primo luglio, sette giorni prima del previsto insediamento di Van der Bellen alla Hofburg, bacchettando tutti, il presidente della corte costituzionale Gerhart Holzinger aveva decretato la necessità di ripetere completamente il ballottaggio in tutto il Paese, sottolineando la necessità ineludibile del rispetto e della puntuale applicazione delle procedure prescritte dalla legge elettorale: “Un’elezione non è un gioco, è una cosa seria”, aveva detto severo, “è necessario ricostituire la fiducia dell’elettorato”.

Tutti, a cominciare da politici e amministratori, si erano inchinati al draconiano verdetto e l’Austria aveva sperato di farla presto finita con quello stillicidio di comizi, dibattiti TV, spot elettorali, arringhe, manifesti e volantini. Però anche la nuova data per un remake, il 2 ottobre, si era rivelata una chimera, questa volta per quello che la vulgata ormai chiama “collagate”, per via della colla di pessima qualità che, ci si era accorti con costernazione nelle prime settimane di settembre, faceva sì che le buste delle schede postali non restassero chiuse dopo il voto: “Guardi che io non gliel’ho detto, ma ci metta un po’ di Uhu” si era sentito dire con nonchalance danubiana qualche elettore basito.

Ed ecco allora la necessità di scovare una colla degna di questo nome e ristampare le schede per un nuovo appuntamento elettorale.

Si voterà dunque il 4 dicembre, dopo una quarta campagna presidenziale che ha sfiancato la popolazione, senza riuscire a cambiare sostanzialmente il testa a testa fra i due candidati, in una nazione che già al primo turno ha spazzato via i partiti tradizionali della grande coalizione – i conservatori della Övp e i socialdemocratici della Spö – e che al primo ballottaggio si è rivelata spaccata da profonde linee di frattura. Innanzitutto fra città e campagna: impressionante la mappa tutta verde a Vienna, come pure in altre otto grandi città fra cui Salisburgo, Linz, Graz e Innsbruck, e tutta blu al di fuori dei centri urbani.

E poi fra popolazione istruita, pro Van der Bellen (oltre l’80% dei laureati e il 73% dei diplomati ha votato per lui al ballottaggio) e popolazione a bassa scolarità, pro Hofer: facendo venire un brivido agli storici, il 22 maggio l’80% degli operai ha votato per l’estrema destra, mettendo così definitivamente la parola fine alla socialdemocrazia come riferimento per le classi meno abbienti.

Un dato questo, che brucia soprattutto a Vienna, dove abita un austriaco su 5, il sindaco è da sempre socialdemocratico e la Spö ha garantito alla città un sviluppo così virtuoso da farle vincere per otto volte consecutive la palma di metropoli più vivibile fra 230 grandi agglomerati urbani.

Indipendentemente da chi vincerà la poltrona di capo dello stato, questa consultazione elettorale fotografa dunque un Paese in sostanziale stallo, e una vittoria dell’uno o dell’altro candidato non sanerà facilmente una frattura che è sia ideologica che sociale: da un lato apertura all’Europa, all’euro, alla cultura, al mondo, ai migranti, e dall’altro chiusura con steccati, voglia di nazione über alles e di populismo declinato in tutte le sue varianti.

In un Paese in cui se si svolgessero oggi le elezioni generali, l’estrema destra vincerebbe senza alcuno sforzo, la poltrona del capo dello stato non è perciò semplicemente un cammeo. E’ quindi caccia ad ogni voto fino all’ultimo respiro, e nell sprint finale fanno gola anche gli austriaci residenti all’estero, che si sono visti recapitare un’email da Hofer: “Uno mica deve leggerla per forza”, si è difeso il candidato dell’estrema destra, che potrebbe finire nei guai per non aver chiesto preventivamente il consenso ai destinatari.

Fonte: espresso.repubblica.it | Autore: Flavia Foradini

 

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