Unione europea, se i progressisti tornano di sinistra

Unione europea, se i progressisti tornano di sinistra

I socialdemocratici (Spd) tedeschi mandano avanti Martin Schulz contro la cancelliera Angela Merkel per «un nuovo inizio» alle Legislative 2017. In Francia il premier uscente socialista Manuel Valls è stato sconfitto dal candidato dell’ala di sinistra Benoit Hamon: troppo simile al presidente François Hollande, Valls. Bacchettato dagli elettori per aver fatto approvare il Jobs act francese.

NON PIÙ CON MERKEL. Come l’omologo italiano Matteo Renzi, stroncato dai giovani al referendum anche per i voucher che hanno fatto invidiare i co.co.pro: i contratti a progetto privi delle tutele del lavoro di base. «Non si può andare avanti con una nuova Grande coalizione», ha dichiarato il candidato originario dell’Spd Sigmar Gabriel, dal 2103 anche ministro e vice di Merkel, dimettendosi dalla presidenza del partito.

Gli slogan di Schulz sono «è tempo per più giustizia» e «più democrazia nell’Ue»: candidando l’ex bibliotecario diventato capo dell’Europarlamento, i socialdemocratici tedeschi tornano a guardare a sinistra, svincolandosi dall’abbraccio mortifero della cancelliera, che dura dal suo primo governo bipartisan del 2005, giacché da allora l’Spd (in conflitto con la sinistra radicale della Linke) vive in uno stato di sottomissione alla dottrina dell’austerity.

REDDITO MINIMO E TUTELE. Tra i socialisti d’Oltralpe, il candidato che ha battuto Valls con un vantaggio netto (il 59% contro il 41% delle preferenze) è il capofila di una corrente minoritaria e ha idee ancora più di sinistra di Schulz: Hamon è stato ministro all’Economia solidale ma presto è uscito dall’esecutivo Valls in contrasto con la sua linea centrista, e ha impostato la campagna per le Presidenziali 2017 sul reddito minimo di cittadinanza e sullo smantellamento delle riforme neoliberiste del lavoro.

Sia Schulz sia Hamon hanno scarse probabilità di vincere e di guidare poi il governo: tra l’Spd e i cristiano-democratici (Cdu-Csu) di Merkel ci sono più di 15 punti di differenza, benché il gradimento di Schulz si stia impennando; e vuoi per lo smantellamento del welfare, vuoi per l’inettitudine di Hollande, i socialisti sono ai minimi storici. Oltralpe il presidente uscente piace a meno del 10% dei francesi, un disastro politico.

TEMPI DI OUTSIDER. Eppure in tutta Europa e anche Oltreoceano si assiste all’affermazione degli outsider sull’establishment, un ossimoro. Per la sinistra (e in parte anche per la destra) è un ritorno ai valori delle origini: solidarietà, eguaglianza, abiura delle riforme neoliberiste dettate dai mercati e dai grandi capitali.

Lo stop alla globalizzazione economica che ha reso i cittadini e i loro governi schiavi delle élite finanziarie allinea curiosamente i partiti della sinistra radicale a quelli della destra sovranista e protezionista. «Se Donald Trump fa una nuova politica commerciale che aiuti i lavoratori e non le multinazionali collaborerò con lui», ha aperto negli Usa Bernie Sanders, l’outsider dell’ala più a sinistra del Partito democratico che in pochi mesi ha tenuto testa alle primarie alla potente candidatura di Hillary Clinton.

IL LABOUR DI CORBYN. Non pochi suoi supporter preferiscono Trump alla lobby dei Clinton, qualcuno poi ha anche votato. Nella Gran Bretagna secessionista dall’Ue, alla guida dei laburisti c’è un marxista come Jeremy Corbyn: anti-austerity, statalista, critico sull’Ue e attratto dalla Brexit. Per la sua ambivalenza sull’uscita dall’area comune europea, all’indomani del referendum è stato anche processato dai laburisti: Tony Blair e l’ala liberista lo odiano, ma Corbyn ha rifiutato le dimissioni ed è sempre lì. Riconfermato nel settembre 2016, a un anno dall’incarico, con il 62% dei voti.

Corbyn e Hamon sono lontani anni luce dalla Terza via del blairismo: le aperture dell’ex premier britannico e di Bill Clinton alla finanza creativa e agli interessi del libero mercato, e oggi il loro sdoganamento da parte di Valls e Renzi (ma prima ancora, in Italia, dei governi Prodi, D’Alema e Berlusconi) come pretendono gli eurotecnocrati per ripagare i buchi delle banche, hanno distrutto l’identità della sinistra.

LE COLPE DI SCHRÖDER. Per Schulz tagliare il cordone ombelicale dalle dottrine merkeliane dell’Ue e dal thatcherismo della sinistra sarà forse impossibile: il candidato a cancelliere è un uomo dell’establishment di Strasburgo e le riforme che in Germania hanno precarizzato i contratti di lavoro e anche parte del welfare furono lanciate alla fine degli Anni 90 dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder, il Blair tedesco per decenni compagno di partito di Schulz.

L’Agenda 2010 sulla deregulation del governo Schröder aprì la faglia con la sinistra radicale (Linke), che in prospettiva con i Verdi oggi dice no, no e poi no anche a una coalizione con Schulz. Epperò, come Blair contro la nomina di Corbyn, Schröder era schierato per un suo nuovo mandato all’europarlamento o a Bruxelles: a presiedere l’Spd e in corsa come cancelliere doveva restare Gabriel, che si è fatto indietro chiedendo a Schulz di guardare a sinistra.

GIUSTIZIA SOCIALE. Tra i membri e gli elettori socialdemocratici figurano molti malpancisti della Grande coalizione e delle politiche economiche e “sociali” di Merkel: supporter entusiasti della discesa in campo di Schulz incrociano le dita affinché «riporti l’Spd a un partito votabile, che si curi della giustizia sociale e dei cittadini». Né l’ex leader dell’Ue ha (finora) tatticamente escluso un’alleanza con Verdi e Linke, anche perché senza le ennesime larghe intese, pro-austerity, con Merkel l’Spd non potrebbe governare da solo.

In Gran Bretagna i laburisti sono in mano a Corbyn. In Spagna e in Grecia le macerie dei partiti socialisti (Psoe e Pasok) hanno spostato i voti dei progressisti sui radicali di Podemos e di Syriza. Ad Atene il suo leader e fondatore Alexis Tsipras è premier da due anni, opponendosi continuamente ai tagli e alle privatizzazioni imposti da Bruxelles. A Madrid, come a Parigi, il Psoe è un partito senza un leader dalle dimissioni del segretario Pedro Sanchez nell’autunno 2016, in continua emorragia di voti.

AUSTRIA POLARIZZATA. Anche in Austria, la tenzone delle Presidenziali rimandate ha portato nel 2016 a capo del blocco della sinistra l’outsider indipendente, e leader storico dei Verdi, Alexander Van der Bellen: le sue posizioni sono più radicali di quelle dei progressisti tradizionali e lui e non l’establishment dei socialdemocratici (Spö), all’esecutivo con una pallida grande coalizione con i conservatori, ha scongiurato un trionfo della destra xenofoba e razzista per la massima carica dello Stato.

Il blairismo della Terza via – anche di David Cameron e dei leader liberisti delle destre europee – è sul sentiero del tramonto. Per inciso anche il Partito democratico (Pd) italiano, dopo la sonora sconfitta di Renzi al referendum, è di fronte a un bivio: si evocano il congresso e la scissione, all’orizzonte ci sono le elezioni anticipate. Gli Anni 80 e 90 sono alle spalle e i voti popolari convergono nelle direzioni opposte. In Europa non vince più il centro ma la polarizzazione.

Autore: Barbara Ciolli | Fonte: lettera43.it

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