Una corsa all’ultimo respiro nelle presidenziali francesi

Una corsa all’ultimo respiro nelle presidenziali francesi

Entra nel vivo la campagna elettorale per le presidenziali francesi. Nessuno dei principali candidati è chiaramente in vantaggio. Evidenti sono invece le divisioni politiche, anche all’interno degli schieramenti. Il voto della Francia influenzerà il futuro della stessa Unione Europea.

Dopo le primarie

Periodo movimentato per la politica francese. A due mesi e mezzo mesi dal primo turno delle elezioni presidenziali (23 aprile) la sfida è aperta. Quello francese è uno tra i maggiori appuntamenti elettorali che avranno luogo in Europa nel 2017, insieme alle elezioni in Olanda in marzo e a quelle in Germania in settembre (e probabilmente in Italia). In un’epoca di grande incertezza su entrambe le sponde dell’Atlantico, la scelta del leader del secondo paese più grande dell’Unione Europea assume un grande rilievo – per la Francia, ovviamente, ma anche per il resto dell’Europa e per gli Stati Uniti.
Il 29 gennaio, Benoît Hamon, già ministro dell’Istruzione nel primo governo di Valls, ha vinto le primarie del partito socialista con quasi il 59 per cento delle preferenze, battendo l’ex primo ministro Manuel Valls (François Hollande, presidente in carica, ha deciso di non ricandidarsi già alla fine dell’anno scorso).
Sul fronte della destra, François Fillon, divenuto inaspettatamente candidato del partito repubblicano nel novembre scorso, è ora messo a dura prova dalle accuse di aver corrisposto alla moglie lauti emolumenti con risorse pubbliche per incarichi mai effettivamente svolti. In una recente manifestazione elettorale a Parigi, Fillon ha negato qualsiasi illecito e ha cercato di rilanciare la sua campagna, affermando che non si sarebbe fatto intimidire dalle accuse e promettendo di promuovere un’agenda incentrata sulla riduzione delle tasse e del numero di impiegati pubblici.
Le primarie hanno creato una situazione piuttosto inusuale per la politica francese: nessuno dei candidati è chiaramente in vantaggio. I quattro principali candidati sono Marine Le Pen, della destra (che è data per favorita nelle intenzioni di voto per il primo turno: se si votasse ora avrebbe il 25,5 per cento delle preferenze), il centrista Emmanuel Macron (20,5 per cento), Fillon (18,5 per cento) e Hamon (15,5 per cento).
L’ascesa più sorprendente è quella di Macron. Il trentanovenne ex ministro dell’Economia (nel secondo gabinetto Valls) ed ex investment banker ha fondato il suo movimento En Marche! nell’aprile del 2016, ha lasciato il suo incarico in agosto e sembra aver beneficiato della scelta di non partecipare alle primarie del partito socialista. Con Hamon come candidato socialista ufficiale, Macron si rivolgerà all’elettorato più giovane, residente nelle città e di centrosinistra (e forse anche di centrodestra). Un recente sondaggio mostra che potrebbe vincere al secondo turno sia contro Le Pen che contro Fillon se le elezioni si svolgessero ora.

Divisioni politiche profonde

Macron non ha ancora annunciato il suo programma, ci si aspetta però che offra una visione pro-business ma social-democratica, in contrapposizione a quella di Hamon, che promette una settimana lavorativa di 32 ore e un reddito minimo garantito di 750 euro mensili. Un Bernie Sanders in salsa francese, il candidato socialista ha anche promesso di abrogare le riforme economiche e del lavoro introdotte dal Macron ministro. Hamon è stato infatti uno dei più accaniti critici di Hollande all’interno dello schieramento socialista e ora incontrerà non poche difficoltà nell’ottenere l’appoggio dei sostenitori del presidente in carica e di Valls.
Le elezioni presidenziali francesi saranno dunque caratterizzate da molte e profonde divisioni politiche. A sinistra, per esempio, ci sono due candidati con opposte visioni sull’economia. Hamon non ha affrontato approfonditamente le questioni internazionali, però ha dichiarato che offrirà uno “speciale visto umanitario” ai rifugiati. Per quanto riguarda la difesa, il suo programma prevede un aumento degli stanziamenti e la costruzione di una seconda nave portaerei. Quanto all’ambiente, vuole vietare i motori diesel.
Macron, da parte sua, ha rivelato qualcosa in più della sua visione del mondo quando il 24 gennaio ha scritto: “ora, noi europei siamo da soli. Possiamo chiudere gli occhi e fingere di vivere ancora nel mondo di ieri. Possiamo continuare a litigare, incantati dal feticcio di una sovranità illusoria. Oppure possiamo decidere di agire insieme e modellare il nostro stesso futuro” Aggiungendo: “è giunta l’ora che gli europei diventino sovrani”.
Il fatto che il campo della sfida sia ancora così affollato – e con qualche faccia nuova – è una buona cosa per la democrazia nel suo insieme. Tuttavia, da un punto di vista politico, non mancano le preoccupazioni per il rischio che le voci più moderate possano annullarsi l’una con l’altra, avvantaggiando Marine Le Pen. La sua visione antieuropea e nazionalista potrebbe avere conseguenze devastanti per la Francia, l’Unione Europea, per le relazioni transatlantiche e per gli sforzi internazionali di ricollocamento dei rifugiati. Per ora, nessun sondaggio le dà una possibilità di vittoria al secondo turno, ma molto dipenderà dalla campagna elettorale. Nel partito repubblicano, molti conservatori si stanno raccogliendo attorno a Fillon, però i recenti scandali lo hanno senza dubbio danneggiato.
In gioco non c’è solo il futuro della sinistra francese (ora chiaramente sbilanciata verso l’ala più radicale), ma anche quello dell’Eurozona e dell’intera Unione Europea.

La versione originale in lingua inglese di questo articolo è stata pubblicata sul sito di Brookings. Fonte: lavoce.info | Philippe Le Corre

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