No-Brexit, la Scozia fissa la data per un nuovo referendum

No-Brexit, la Scozia fissa la data per un nuovo referendum

Entro il marzo 2019 la consultazione pro o contro l’indipendenza dal Regno Unito, quando dovrebbe concludersi il negoziato sull’uscita dalla Ue fra Londra e Bruxelles. Il governo di Edimburgo: “Due anni e mezzo fa non sapevamo che restare parte del Regno Unito avrebbe significato uscire dall’Europa”. Mutati anche i sondaggi, che per la prima volta danno i sì all’indipendenza in lieve vantaggio o in sostanziale parità con i no. Ma il governo britannico non ci sta.

La Scozia risponde alla Brexit convocando un nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito. “Il governo britannico rifiuta ogni compromesso che ci consenta di rimanere almeno dentro il mercato comune europeo, non ci resta altra strada che decidere da soli il nostro futuro”, annuncia Nicola Sturgeon, premier del governo autonomo scozzese, in un discorso a Edimburgo. L’intenzione era nell’aria, ma Downing Street l’ha considerata a lungo un bluff, perché i sondaggi davano i no all’indipendenza della Scozia in vantaggio sui sì e perché nel 2014 gli indipendentisti hanno già perso, 55 a 45 per cento, un primo referendum sulla secessione dal Regno Unito. “Ma i termini della questione sono cambiati”, afferma la premier Sturgeon. “Due anni e mezzo fa non sapevamo che restare parte del Regno Unito avrebbe significato uscire dall’Unione Europea”. E sono cambiati anche i sondaggi, che per la prima volta danno i sì in lieve vantaggio o in sostanziale parità con i no.

La leader degli indipendentisti ha fissato anche la data della consultazione: tra l’autunno 2018 e la primavera 2019. Dunque entro il marzo 2019, quando dovrebbe concludersi il negoziato della durata di due anni fra Londra e Bruxelles sull’uscita del Regno Unito dalla Ue. “Vogliamo tenere il referendum in un momento in cui sia già nota la sostanza dell’accordo sull’uscita di Londra”, ha detto Sturgeon, “ma prima che sia troppo tardi”. Tardi per cosa, è sottinteso: gli indipendentisti vogliono poter votare prima che il Regno Unito sia formalmente uscito dalla Ue, in modo da poter sostenere, se nel referendum prevarrà il sì all’indipendenza, che la Scozia ha tutto il diritto di restare parte della Ue anche se il resto del Regno Unito si appresta ad uscirne.

Restano due incognite. La prima è se il governo britannico alla fine permetterà il referendum. Le premesse non incoraggiano gli scozzesi: “Non accetteremo niente che leghi le mani al primo ministro”, è il primo commento del portavoce di Theresa May. Poi, in una nota, Downing Street argomenta ancora più duramente: “Un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia sarebbe divisivo e provocherebbe “enorme incertezza economica”. Il governo May s’impegna peraltro a negoziare ora la Brexit “nell’interesse di tutte le nazioni” del Regno Unito.

Ma rifiutare il referendum sarebbe l’equivalente di sconfessare due decenni di devolution in tutto il paese e andare a uno scontro frontale, con imprevedibili conseguenze politiche e legali, con la Scozia. E’ possibile che Londra cercherà di rinviare la data del referendum a dopo la conclusione del negoziato di “divorzio” dalla Ue, ma non è detto che ci riesca. L’altra incognita è la reazione della Ue: se accetterà o meno la Scozia tra i suoi membri, al posto del Regno Unito che se ne va, senza bisogno che Edimburgo si metta in coda per un lungo processo di ammissione. A qualcuno l’ipotesi non piacerà, per esempio alla Spagna, che non vuole fare niente per incoraggiare la Catalogna verso l’indipendenza.

Intanto l’annuncio di Nicola Sturgeon è come “una bomba”, osserva la Bbc, sul percorso ad ostacoli della Brexit, che oggi dovrebbe ricevere l’approvazione finale dal parlamento di Westminster, con un voto della camera dei Comuni che – secondo le previsioni – rifiuti gli emendamenti approvati la settimana scorsa dalla Camera dei Lord. In tal caso, già domani Theresa May potrà invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che dà il via ai due anni di negoziati di uscita dalla Ue, il processo formale verso il divorzio. E Bruxelles si dice pronta “a lanciare i negoziati non appena quell’articolo sarà attivato” sottolinea Margaritis Schinas, portavoce capo della commissione Ue.

Adesso, tuttavia, con la questione scozzese, si profila con chiarezza il prezzo esorbitante che il Regno Unito potrebbe pagare per la Brexit: la disunione britannica.

Se ciò avverrà, si può scommettere come saranno ricordati nei libri di storia Nigel Farage, il primo a battersi per lasciare la Ue, David Cameron, che ha indetto il referendum sulla Ue, e Theresa May, che vuole portare a compimento la Brexit. I distruttori di tre secoli di unità nazionale. Senza contare che alla Scozia potrebbe aggiungersi l’Irlanda del Nord, l’altra regione che ha votato a grande maggioranza per restare nella Ue nel referendum del giugno scorso. Good-bye Great Britain. Hello Little England.

Fonte: repubblica.it

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