Nella capitale economica stanno maturando alleanze e alchimie nazionali, ma senza i clamori di un tempo. I candidati alla segreteria Pd che corteggiano il sindaco Sala, il lavoro di Pisapia, gli strappi di Maroni, le alleanze di Grillo. Con il solito Berlusconi che attende la rivincita.
C’erano tempi, nemmeno troppo lontani, in cui i giornalisti politici andavano a nozze con Milano. Tutto quello che contava qualcosa a Roma passava nella capitale economica del Nord. La discesa in campo di Silvio Berlusconi, 1994. La concomitante sfida anti-centralista di Umberto Bossi, che una volta fatto il botto alle urne ha dovuto spostare il suo quartiere generale dalla piccola Varese a Milano. I due avevano litigato a distanza nelle piazze lombarde, poi si sono accomodati nel salotto di Arcore per stringere accordi. Seguirono colonne di ministri, sottosegretari e peones che non si potevano perdere un convegno o un’inaugurazione sotto la Madonnina, specie di lunedì e di sabato: tutti li invitavano e a tutti ammansivano la loro dichiarazione quotidiana su quel che accadeva a Roma. Arrivata l’austerità di Mario Monti, nel duro inverno della speculazione finanziaria del 2011, cambiavano i toni ma non del tutto la geografia: il professore abitava a Milano, e a Milano riceveva la gente che conta, conteso con meno successo da convegnisti e cronisti. Poi l’epoca del Pd al governo ha riportato tutto a Roma. E a Firenze. Ma Milano qualche anno dopo è tornata a essere uno snodo cruciale della politica italiana. Più silenzioso. Protetto da porte più discrete. Ma cruciale.
È alla porta di Beppe Sala – sindaco senza tessera di partito in tasca ma creatura politica del renzismo sopravvissuta al terremoto del Nazareno – che tutti i candidati alla segretaria del Partito Democratico hanno bussato in queste settimane di avvicinamento alle primarie. E Sala si fa cercare, apre la porta discreta della sua casa, senza dare benedizioni definitive. Perché dove si schiererà Milano – città di centrosinistra senza il trattino e con i grillini che non sfondano – si schiererà un bel pezzo del partito. L’ex mister Expo ha visto Matteo Renzi, che ha dedicato alla federazione milanese la sua ultima visita da segretario. Ha visto Michele Emiliano, che ha arruolato l’ex uomo forte di Sesto San Giovanni, Filippo Penati. Ha visto Andrea Orlando, il ministro della Giustizia che è riuscito a portare sul palco della sua mini-convention milanese anche i due sfidanti di Sala alle primarie dello scorso anno: Pierfrancesco Majorino (della sinistra Dem) e Francesca Balzani (pisapiana defilatasi dopo la sconfitta). La maggioranza degli eletti resta comunque renziana, ma senza le isterie del passato.
L’abitazione privata di Sala si trova a Brera, quartiere storico del centro di Milano, dove il Sì al referendum costituzionale non ha faticato a passare. Dalla parte opposta della città, rispetto al Duomo, un’altra di quelle porte discrete, a cui in molti hanno bussato in queste settimane. È lo studio dell’avvocato Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano che si è messo in testa di ricostruire il centrosinistra nazionale, mettendo a disposizione la sua storia. Lo studio di Pisapia è stato il crocevia della costruzione artigianale del Campo Progressista. Una sigla che però deve ancora trovare, specie dopo la scissione del Pd, una sua collocazione riconoscibile nello scenario politico italiano. Non è comunque il solo, Pisapia, a cercare una collocazione. Milano è anche lo scenario in cui fra poco meno di un anno la sinistra tenterà per l’ennesima volta di strappare la guida della Regione Lombardia al centrodestra. Potrebbero sfidarsi due bergamaschi che hanno però fatto carriera grazie a Milano: il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, un tempo potente uomo Mediaset, poi renziano ma sopratutto goriano. E il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, che si è fatto le ossa come segretario regionale bersaniano, poi come delegato del Governo per l’Expo in ticket con Sala e ora impegnato in un altro ticket tutto politico, con Renzi, per la guida della segreteria Dem.
Scalate, relazioni di potere, scommesse politiche. Milano è ancora una volta al centro. A proposito di porte discrete, non va dimenticato che non distante dalla casa del sindaco e dallo studio dell’ex sindaco, c’è la Casaleggio da cui passano i pensieri del Movimento 5 Stelle. Da queste parti, il verbo di Beppe Grillo ha sfondato meno che altrove, sicuramente ha trovato terreno meno fertile che a Roma e Torino. Ma le elezioni Regionali del prossimo anno sono un test importante per il Movimento, che non a caso al Pirellone ha coltivato una squadra di nove consiglieri regionali spesso litigiosi fra loro ma pragmatici nel loro ruolo: mai sfiorati da polemiche in quattro anni di mandato. Anzi, Milano, per loro, è diventata terra di alchimie politiche. Nessuna alleanza, beninteso. Ma con la Lega del governatore Roberto Maroni un esperimento importante è in corso: in Consiglio regionale i grillini hanno sostenuto la legge per arrivare alla indizione di un referendum per l’autonomia, ottenendo anche la sperimentazione del voto elettronico. E faranno campagna sugli stessi temi della Lega, pur volendosi differenziare.
Alchimie che si incrociano, dunque, a Milano. Come quelle istituzionali che uniscono stavolta lo stesso Maroni al sindaco Sala e, in qualche misura, al Pd. Un asse bipartisan che coinvolge anche il Governo di Paolo Gentiloni sta sostenendo la candidatura di Milano ad accogliere l’Agenzia europea del farmaco (Ema), che si trasferirà da Londra per effetto della Brexit. Maroni e Sala sono partiti per la capitale britannica per sponsorizzare la città, insieme ai ministri Pier Carlo Padoan e Angelino Alfano. Non si sa se ce la faranno a vincere, ma intanto Maroni ha litigato con il gruppo leghista che si è opposto alla sua proposta di offrire per la sede dell’Ema proprio il Pirellone, la sede del Consiglio regionale della Lombardia. “Non cediamo alla burocrazia europea”, l’accusa. “Sono posti di lavoro importanti”, la replica dell’ex segretario della Lega, che in cuor suo coltiva la prospettiva di un ritorno sulla scena nazionale più sull’onda del pragmatismo che su quella degli slogan radicali.
Last but not least, Milano è il luogo in cui regge l’alchimia politica più duratura della storia della seconda repubblica: il centrodestra unito. Da Berlusconi a Matteo Salvini, passando per Maurizio Lupi e Ignazio La Russa, la vecchia coalizione non ha mai smesso di lavorare assieme. Certo, a livello nazionale è ancora divisa, fra i moderati vicini al Cav e gli euro-critici vicini al leader leghista. Ma i numeri dicono che replicare il centrodestra in salsa lombarda anche alle Politiche è l’anticamera di una possibile vittoria. Come arrivarci? Anche in questo caso c’è una discreta porta milanese che si sta lentamente riaprendo. E’ quella della casa di Berlusconi. Non quella di Arcore, troppo legata al passato per i giovani rampanti alla Salvini. Ma quella di via Rovani, residenza di città dell’ex premier, non distante dalle case di Sala, di Pisapia e della Casaleggio. E’ lì che, si dice, il dialogo fra Berlusconi e Salvini – due milanesissimi – si sta per riannodare.
Fonte: linkiesta.it | Autore: Alessandro Franzi