Se il centrodestra è tornato, bisogna segnarsi un’altra data sul taccuino. Il 22 ottobre. Per quel giorno Lombardia e Veneto hanno convocato due referendum consultivi per chiedere maggiore autonomia regionale, che sono stati sostenuti anche dal Movimento 5 Stelle. Il Partito Democratico finora ha sottovalutato la scadenza.Ha sminuito l’effetto politico che potrebbero avere i due quesiti, facendo leva sul fatto che non sono vincolanti. E ha sottolineato solo l’aspetto propagandistico dell’iniziativa dei due governatori leghisti, Roberto Maroni e Luca Zaia, nella convinzione che alla fine i referendum non si faranno. O che, tutt’al più, non porteranno alle urne percentuali elevate di elettori, fallendo così la prova di forza con Roma. Ma se il vento è quello che domenica ha portato alla vittoria del centrodestra nelle roccaforti della sinistra di Genova e Sesto San Giovanni, oltre che a Lodi, Como, Monza e Verona e in quasi tutti i Comuni di Lombardia e Veneto al voto, allora per il partito di Matteo Renzi il 22 ottobre potrebbe arrivare la conferma che il Nord gli sta voltando nuovamente le spalle.
I Democratici sono del resto spaccati sul tema del referendum. Il centrodestra ne parla dal 2014. Prima in Veneto, poi in Lombardia si è saldata un’alleanza necessaria con i grillini per far passare i due provvedimenti nei rispettivi Consigli regionali, dov’era necessaria una maggioranza dei due terzi. I leghisti hanno tenuto i quesiti nel cassetto fino a un tempo per loro propizio. L’anno pre-elettorale del 2017. Una farsa, secondo i dirigenti Dem, che si sono invece ritrovati a rincorrere Maroni e Zaia, una volta annunciata (poche settimane fa) la data del 22 ottobre. Con l’aggravante che alcuni loro sindaci di peso, come Beppe Sala a Milano o Davide Galimberti a Varese, la culla della Lega Nord strappata nel 2016 al centrodestra dopo ventitré anni, hanno dovuto ammettere che, se si andrà al voto, non potranno che votare Sì. Anche Giorgio Gori, a Bergamo, aveva inizialmente tenuto una posizione di apertura. Certo, i referendum sono una forzatura, come dicono dal centrosinistra. Perché usano l’articolo 116 della Costituzione che prevede già la possibilità di trattare direttamente con il Governo maggiori materie di competenza regionale. Ma quello che hanno fatto Lombardia e Veneto è stata una scelta politica. Per avere il popolo dalla propria parte, si usa dire così. E le conseguenze politiche, appunto, sono potenzialmente dirompenti, anche se non dovessero essercene sul piano pratico.
Se il vento è quello che domenica ha portato alla vittoria del centrodestra nelle roccaforti della sinistra di Genova e Sesto San Giovanni, oltre che a Lodi, Como, Monza e Verona e in quasi tutti i Comuni di Lombardia e Veneto al voto, allora per il partito di Matteo Renzi il 22 ottobre potrebbe arrivare la conferma che il Nord gli sta voltando nuovamente le spalle
In politica, più che i fatti, molto spesso conta l’effetto dei gesti che si compiono. I referendum del 22 ottobre stanno compattando il centrodestra nella sua versione più ampia: dalla Lega Nord a Forza Italia, da Fratelli d’Italia ai ciellini di Alternativa Popolare. Ridaranno una ribalta ai 5 Stelle esclusi dai ballottaggi. E costringeranno il centrosinistra a una scelta di campo difficile: essere a favore dell’autonomia fiscale è nel dna delle Regioni del Nord. Essere contro potrebbe far pagare al Pd un prezzo ancora più alto di quello delle ultime Comunali. Non è un caso che all’indomani dei ballottaggi, la campagna referendaria entri subito nel vivo. Maroni da lunedì mattina ha fatto esporre alle fermate dei tram e nelle vie principali delle città lombarde i manifesti della Regione che invitano gli elettori a esercitare il loro diritto di voto.Poi ha annunciato che già da luglio saranno al lavoro i comitati territoriali e i comitati dei partiti di centrodestra che sosterranno le ragioni del Sì. Dire che è solo propaganda, non basterà.
In palio c’è la possibilità di trattare più autonomia. Soldi, per i governatori leghisti, più che materie di competenze: a Milano e Venezia vogliono trattenere il gettito fiscale ai livelli delle Regioni a Statuto speciale. Ma oltre all’autonomia c’è in palio il destino di carriere politiche speculari. A destra, quella dei governatori del Nord che da un anno collaborano alla ricostruzione di un’alleanza che possa tornare a governare a livello nazionale: Maroni e Zaia ma anche il ligure Giovanni Toti. Tre nomi fra cui pescare quello per un premier di compromesso fra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, se sarà il centrodestra a vincere le prossime elezioni Politiche. A sinistra, diversi dirigenti Pd scalpitano da tempo per tentare di conquistare la guida della Lombardia, si voterà entro la primavera. Non è un mistero che ci abbia pensato il vice-segretario Maurizio Martina, così come il suo predecessore Lorenzo Guerini. Più lanciato in queste settimane il sindaco di Bergamo, Gori, figura capace di parlare a un elettorato più trasversale. Ma i risultati delle Comunali e i rischi del referendum del 22 ottobre hanno per ora raffreddato gli animi.
Fonte: linkiesta.it