Si vota ad agosto e il governo ha deciso di provare a garantirne la regolarità usando la tecnologia, con qualche rischio.
Il Kenya è uno dei più importanti paesi dell’Africa, il settimo più popolato e quello economicamente più forte nell’area del Corno d’Africa. Negli anni scorsi le elezioni keniane sono state eventi spesso drammatici: nel 2007 furono seguite da violenti scontri che causarono la morte di almeno 1.300 persone e ci furono accuse di brogli (lo stesso avvenne nel 2013). L’attuale presidente Uhuru Kenyatta vinse con il 50,51 per cento al primo turno, anche se in molti – compreso il suo rivale Raila Odinga, che già allora era suo avversario – non credettero alla validità dei risultati elettorali. In occasione delle elezioni del 2017, il governo ha deciso di prendere delle contromisure, per evitare accuse e violenze. Si è rivolto a Safran, un’azienda francese specializzata in tecnologie aerospaziali, e ha distribuito nel paese 45mila tablet equipaggiati per fare l’identificazione biometrica degli elettori, cioè per riconoscerne l’identità partendo dalle impronte digitali. Circa 360mila funzionari sono stati addestrati per far funzionare i tablet e sorvegliare le operazioni di identificazione.
Alla base di una democrazia funzionante ci sono elezioni regolari e le elezioni irregolari sono tra le cause della mancanza di democrazia di molti paesi del mondo, soprattutto in Africa. La prima volta che in Africa un governante uscente fu regolarmente sconfitto alle elezioni accadde solo nel 1991 (se si esclude Mauritius, dove c’è la democrazia dall’indipendenza, ottenuta nel 1968): successe in Benin e in Zambia. Da allora, di elezioni regolari ce ne sono state almeno 45, ma in molti casi i capi di governo o di stato hanno vinto con percentuali risicate, tra proteste e accuse di brogli. È successo di nuovo lo scorso anno in Zambia, dove Edgar Lungu ha vinto con il 50,35 per cento dei voti: di recente il suo avversario, Hakainde Hichilema, è stato incarcerato.
Negli ultimi mesi ci sono stati esempi positivi di elezioni democratiche che hanno garantito un’alternanza del potere: in Nigeria, Ghana e Lesotho chi era al potere ha perso, e in Gambia il dittatore locale ha riconosciuto il risultato del voto permettendo al suo sfidante di assumere l’incarico. Le prossime elezioni importanti in Africa si terranno appunto in Kenya, l’8 agosto: i candidati sono ancora il presidente uscente Uhuru Kenyatta e Raila Odinga. Come ha raccontato l’Economist, le elezioni in Kenya saranno interessanti – oltre che per il risultato – anche per valutare l’efficacia del vasto sistema tecnologico di controllo elettorale che sarà allestito. Se l’elezione sarà regolare e non ci saranno contestazioni, quello adottato in Kenya potrebbe anche diventare un esempio e un modello importante per le future elezioni in Africa.
L’obiettivo principale è quello di evitare che una persona voti più di una volta: tutti gli elettori registrati – più di 19 milioni e mezzo – sono stati inseriti in un database e sono stati verificati da KPMG, una società di consulenza internazionale. Don Bisson del Carter Center, un ente che sta supervisionando le elezioni, ha spiegato che il registro non è perfetto, perché molte persone nelle città più remote non hanno nemmeno un certificato di nascita. Ma almeno previene che risultino voti di persone morte, ha spiegato: perché banalmente una persona morta non può inserire le sue impronte digitali sul tablet. Una volta che il tablet riconosce l’impronta, mostra una fotografia e un nominativo dell’elettore, che poi può votare.
In realtà già nel 2013 furono usati dispositivi simili, anche se più rudimentali, ma i risultati furono pessimi: alcuni si scaricarono e altri smisero di funzionare per svariati motivi. Quest’anno sono state prese più precauzioni, compresi dei tablet di scorta, ed è stata ottenuta la collaborazione delle compagnie di telecomunicazioni, di modo che si possa coprire il 98 per cento dei seggi con la rete 3G (per il resto verrà usata la rete satellitare). A differenza delle ultime elezioni, inoltre, una volta che i responsabili dei seggi avranno scrutinato le schede e avranno comunicato i risultati all’ufficio elettorale centrale, quegli stessi risultati non si potranno più cambiare, per evitare che vengano truccati per favorire un candidato. Si è anche deciso che in alcuni seggi ci saranno degli osservatori indipendenti, di modo da rendere più difficile avanzare accuse di brogli. Le organizzazioni internazionali che controlleranno e valuteranno le operazioni di voto sono molte e rispettate, e ci saranno anche 6mila normali cittadini che faranno da osservatori ai seggi per conto di una federazione di enti keniani.
C’è comunque chi ha invitato ad andarci piano, con l’entusiasmo: Nic Cheeseman, esperto di elezioni africane dell’Università di Birmingham, ha spiegato all’Economistche tutta questa tecnologia potrebbe avere l’effetto opposto a quello desiderato, e consentire a qualcuno di rendere il risultato elettorale meno trasparente. Ma ci sono anche altri rischi: che alcuni elettori, soprattutto nelle zone rurali, non si fidino della tecnologia, o possano pensare che il governo la userà per scoprire il loro voto; che la tecnologia venga usata come scusa da chi vuole fare accuse non circostanziate, giocando sulla complessità del sistema; che venga in parte sabotato l’apparato tecnologico, come successe nel 2012 in Ghana, quando nei seggi in cui mancavano osservatori le macchine elettorali si ruppero in quantità maggiore della media nazionale. C’è poi il problema che gli osservatori dei partiti probabilmente non si spingeranno nelle roccaforti avversarie, per paura di ritorsioni, e quelli internazionali non raggiungeranno i seggi del nord est, dove ci sono frequenti attentati fatti da terroristi somali.
Fonte: ilpost.it