Tutte le volte che un singolo voto si è rivelato decisivo per le elezioni

Tutte le volte che un singolo voto si è rivelato decisivo per le elezioni

Votare è importante, il diritto va sempre esercitato, ogni singolo contributo è fondamentale. Sembra la solita vecchia solfa e, in effetti lo è. Il tasso di astensione, negli ultimi anni e in vari Paesi, è in crescita. I cittadini non credono più nello strumento elettorale? Può essere. Non si fidano dei candidati? È molto probabile. Di sicuro, non pensano che il loro contributo possa risultare decisivo. E qui si sbagliano.

Certo, la matematica non è un’opinione, e come hanno dimostrato gli studiosi dell’Università di Chicago, che hanno studiato i risultati di un secolo di elezioni del Congresso americano (più altre tornate elettorali nei singoli Stati), sono pochissimi i casi in cui un voto, da solo, si sia dimostrato decisivo per il risultato di un’elezione. Sulle 57mila votazioni considerate, è successo solo otto volte.

Tra queste, la più interessante risale al 1910. È l’unica elezione al Congresso determinata da un singolo voto. All’epoca, per il distretto di New York, si fronteggiavano il democratico Charles Bennett Smith, direttore di giornale e grande sostenitore del Proibizionismo, e il repubblicano D. S. Alexander, già eletto. Dopo il primo scrutinio, i due candidati risultavano pari: 20.684 voti a testa. Un risultato incredibile. Ma destinato a cambiare in poco tempo: il consiglio elettorale, rivedendo tutte le cartelle, notò un errore nella somma totale di un foglio di un seggio. Rifecero il calcolo e diedero un voto in più a Smith. Risultò decisivo: il candidato democratico superò il rivale per quell’unico punto in più. E da lì cominciò la sua carriera in politica.

Il fatto si ripeté nel 2000, alle elezioni del sindaco di Seat Pleasant, cittadina nel Maryland. In questo caso la vicenda è ancora più contorta. Una donna, presentatasi al seggio, venne respinta perché, nonostante fosse presente nei registri elettorali, il suo nome non risultava. Tutta colpa di un cambio di indirizzo. Non poté votare il suo candidato, cioè Thurman D. Jones, che in serata fu sconfitto da Eugene F. Kennedy: 246 voti contro 247. Il suo voto, come si vede, avrebbe pareggiato la situazione. Per il povero Jones fu uno smacco incredibile. Fece ricorso, ma i giudici lo respinsero: del resto, anche se c’era stato un errore, non era stato commesso nessun abuso.

Infine successe ancora nel 2008, al settimo distretto per la Casa dei Rappresentanti Usa, in Alaska. Da una parte il repubblicano Mike Kelly, che vinse sul democratico Kari Kassel per 5.018 voti a 5.017. Decisivo fu l’anonimo contributo degli elettori non residenti.

Fonte: linkiesta.it

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