Donald Trump, il 45esimo presidente degli Stati Uniti, è iscritto a Twitter dal marzo 2009. Nove anni intensi, per lui e i suoi attuali 47,3 milioni di follower: i “cinguettii” pubblicati sono 36.900, gli ultimi dei quali risalenti al 28 gennaio e dedicati variamente a ripresa economica, ostruzionismo dei democratici e al rapper Jay-Z («Qualcuno gli dica che grazie a me la disoccupazione afroamericana è ai minimi storici»). Il suo predecessore, Barack Obama, ha scoperto il sito di microblogging nel 2007 e conta il doppio dei seguaci (99,5 milioni), ma è riuscito comunque a scrivere molto meno: solo 15.500 tweet, meno della metà rispetto al tycoon eletto fra le file del partito Repubblicano. La maggiore dimestichezza con i social di Trump echeggia, su scala minore, anche nella politica italiana, che corre in vista delle elezioni del 4 marzo.
Per limitarsi a Twitter, il centrodestra si rivela lo schieramento più prolifico per quantità e ritmo della sua comunicazione. L’account di Forza Italia ha prodotto 147mila tweet dal 2010 a quest’anno, mentre il profilo di Fratelli d’Italia (la sigla di destra sociale capeggiata da Giorgia Meloni) ne ha sfornati 50.900 dal 2012 ad oggi. L’account di Noi con Salvini (erede della Lega) è arrivato solo a fine 2014, ma sembra intenzionato a pareggiare i conti in fretta: 47.300 tweet in poco più di due anni. Il Partito democratico, attivo dal 2008 anche su Twitter, si ferma a 46.900. Il Movimento Cinque Stelle non va oltre i 18.300 tweet dal 2011 ad oggi, anche se il resto del traffico è generato dai vari portali che orbitano intorno al movimento e alla Casaleggio associati. Quanto alle formazioni più giovani, la lista di sinistra Liberi e Uguali (comparsa su Twitter a dicembre 2017) ha superato il tetto dei 1000 tweet. Forza Europa, la sigla europeista guidata da Emma Bonino, è sbarcata 12 mesi prima e na ha pubblicati da allora circa 1.500.
Il sociologo Dal Lago: sui social vanno per la maggiore messaggi semplicistici
Twitter conta 330 milioni di utenti attivi in tutto il mondo, un campione tutto sommato ridotto. Ma anche su Facebook, che supera i 2 miliardi su scala globale, si mantengono proporzioni simili. La pagina ufficiale di Forza Italia ha pubblicato circa 30 post da inizio gennaio, quella di Noi con Salvini raggiunge la stessa cifra nell’arco di quattro-cinque ore.
Alessandro Dal Lago, sociologo, ha studiato da vicino il fenomeno della comunicazione politica ai tempi delle piazze virtuali. Il suo ultimo saggio, «Populismo digitale», entra nel vivo della propaganda condotta sulla Rete, con una certa attenzione a quella prodotta dai movimenti che si dichiarano anti-establishment: dalle sigle neofasciste europee, a partire dal Front National di Marine Le Pen, alle forze post ideologiche come il “nostro” Movimento Cinque Stelle.
«I messaggi populistici – spiega – si propagano meglio online perché si prestano a slogan semplici, di impatto. È più facile dire “l’Euro ci manipola” o “l’immigrazione è un pericolo”, invece che tentare un ragionamento complesso». Dal Lago non pensa che ci sia in ballo uno spostamento di voti a tutti gli effetti, quanto il fenomeno delle cosiddette «bolle culturali» sul Web. L’esposizione costante e passiva a messaggi di ambienti che ci sono famigliari, anche perché stabiliti dalle nostre ricerche online, finisce per rinchiudere l’utente-elettorale in un ambito ristretto di informazioni. «Insomma, si consolidano alcune convinzioni – dice Dal Lago – e questo riguarda una parte consistente degli elettori». Non è neppure facile dire se esista un dibattito sano sui social, dove i criteri di rapidità e immediatezza rendono indigesti i tentativi di ragionamento. «Dipende molto. LinkedIn ad esempio è molto professionale… Ma quanti lo usano? - si chiede Dal Lago – Twitter e Facebook invece sono perfetti, perché privilegiano rapidità e semplicità».
Quando i social manipolano il nostro voto
Dal Lago sottolinea, però, che le stelle della politica digitale «non nascono dal nulla. Si parla di gente che si può permettere milioni di follower». Proprio la vastità del bacino di utenza ha consentito, in passato, degli esperimenti di massa di manipolazione del voto veicolati da Facebook. Nel 2012, ai tempi dell’amministrazione Obama, la rivista scientifica Nature pubblicò una ricerca dove si dimostrava che il social di Mark Zuckerberg era riuscito a portare al voto 340mila utenti alle elezioni mid-term del 2010. In breve, Facebook aveva inviato ai suoi utenti degli «inviti al voto» privati o dei «messaggi sociali» dove si mostravano amici e conoscenti interessati alle elezioni, innescando un effetto-sciame per il comportamento elettorale degli utenti. Magari le convinzioni venivano da lontano. Ma la scelta di votare è scattata, ufficialmente, solo dopo il log in.
Fonte: ilsole24ore.com | Autore: Alberto Magnani