Come si comunica (e si dovrebbe comunicare) in politica

Come si comunica (e si dovrebbe comunicare) in politica

Conoscere bene l’italiano, evitare la prolissità e controllare le fonti. La comunicazione politica, anche negli uffici stampa, deve essere chiara e diretta al punto: questi ed altri consigli da un manuale di ufficio stampa politico istituzionale.

Riportiamo alcuni stralci dell’ebook «Manuale di ufficio stampa politico istituzionale» scritto da Andrea Camaiora (ed. AltroMondo, 2018), ceo dello studio di comunicazione strategica The Skill e spin doctor con 17 anni di esperienza nella comunicazione politica e istituzionale.

Stile

«Come te la cavi con l’italiano? Lo conosci bene?». È la domanda che pongo ai giovani laureati che si propongono di lavorare nel mio studio di comunicazione. Tutti – immaginando domande relative a inglese, francese, tedesco, cinese, russo, arabo, spagnolo – rispondono con sicurezza di sì. Purtroppo, il più delle volte, il lavoro dimostra il contrario.

Rispettare le norme d’ortografia, grammatica, fare propri gli insegnamenti di analisi logica imparata a scuola, fare un uso corretto della punteggiatura – ad esempio evitando di aprire incisi che non si chiudono oppure separando con la virgola il soggetto dal verbo – potrebbe apparire l’abc e in effetti lo è. Ma l’esperienza dimostra che oggi tanti giovani che si affacciano al giornalismo e all’attività di ufficio stampa, purtroppo, ignorano queste regole fondamentali pur provenendo da licei e percorsi universitari umanistici. A risultare penalizzato è il prodotto finale, il testo, comunicato stampa e conseguentemente la persona o istituzione per la quale si scrive.

Per non parlare della banalità da cui rifuggire. Se un collega, ad esempio della carta stampata, deve scegliere tra due comunicati di esponenti dello stesso partito sul medesimo argomento per inserirli nel suo articolo, potrà essere propenso a scegliere quello scritto meglio, nel modo più originale, incisivo ed elegante e, in questo caso specifico, anche il testo più breve o più facilmente frazionabile. Ecco perché i comunicati devono essere in grado di contestualizzare le dichiarazioni, supportarle con cifre ma essere brevi e rispettare l’analisi grammaticale e logica. Di un comunicato, alla fine, nella «industria dell’informazione» si usano al massimo due frasi: che siano dunque chiare, nette, efficaci, persuasive.

L’ufficio stampa, specie se di carattere politico istituzionale, è un servizio d’élite, attività che richiede attenzione al particolare, come per l’alta sartoria. E, come per la sartoria, le “misure” (la lunghezza dei comunicati) hanno la loro importanza.

Il comunicato stampa deve essere profilato sulla base del suo destinatario. Il testo su una manifestazione, ad esempio un congresso, non avrà la medesima lunghezza se è inviato ad agenzie e a giornali online o a stampa locale. Le prime richiedono brevità e asciuttezza, i secondi consentono e talvolta preferiscono maggiore ariosità nei contenuti che ricevono.

Limitiamoci però al testo più succinto che è da considerarsi valido per l’80% del sistema dell’informazione. Se deve andare nel circuito delle agenzie e se non desideriamo che sia ritoccato, cambiato e magari indebolito più volte, dobbiamo scriverlo come piace alle agenzie, in un’opera di mediazione giornalistica che se sappiamo operare noi con intelligenza, badando ai nostri interessi, non sarà effettuata dal destinatario.

Intanto all’Ansa una notizia urgente non può essere generalmente più lunga di nove righe e una notizia compiuta non può essere più lunga di venti righe, ciascuna delle quali di 64 battute. Qualsiasi notizia, poi, deve avere un “lead”, un attacco, un cappello, di 530 battute al massimo. Questa “antica” regola Ansa ben si adatta anche a chi voglia scrivere un buon comunicato.

Scrivere più righe del richiesto, salvo eccezioni motivate, non è soltanto forma di noncuranza e sciatteria (male che affligge il nostro tempo), bensì «è soprattutto un difetto di mestiere, d’incapacità – come si legge nel manuale di scrittura del Corriere della Sera – di ponderare mentalmente le proporzioni di un pezzo, di disporre secondo logica ed effetto di stile la materia; di scrivere bene, insomma».

Dunque il comunicato ideale che dobbiamo realizzare noi che di mestiere non scriviamo take d’agenzia è tra mille e duemila battute, con una preferenza per i testi di mille e duecento, mille e cinquecento, mille e ottocento, da valutarsi sulla base della complessità della materia e della argomentazione che si deve far comprendere.

(…) Un comunicato deve dunque contenere un lead, un passaggio centrale e una chiosa finale, possibilmente a effetto. Si rifugga dall’idea – contraria alle regole del giornalismo e del buon senso – di tenersi il miglior colpo nell’ultima riga. Perché affinché sia sparato quel colpo, il lettore dovrà arrivare all’ultima riga mentre più certamente soffermerà la sua attenzione nelle prime tre righe. Se sapremo carpirne l’attenzione, allora proseguirà nella lettura.

Il discorso del presidente del Consiglio all’assemblea Onu nel 2008

Nel 2008, poche settimane dopo l’insediamento di Silvio Berlusconi a palazzo Chigi, si rese necessario scrivere l’intervento del neo capo del governo italiano all’assemblea generale dell’Onu. Della cosa si doveva occupare la parte dell’ufficio stampa di Berlusconi che Bonaiuti aveva attivato e battezzato «Mattinale» (dal nome del rapporto mattutino giornaliero compilato nelle caserme, negli uffici di polizia, ecc..) che elaborava una nota quotidiana per i quadri del partito e lavorava con una batteria di brillanti ghost writer ai discorsi di Berlusconi. Nel team del Mattinale lavoravano tra gli altri intellettuali e giornalisti di rango: Riccardo Berti, Tino Oldani, Giorgio Stracquadanio, Mario Spetia, Andrea Orsini e molti altri a cui si aggiungevano, non raramente, don Gianni Baget Bozzo, Giuliano Ferrara e Gianni Letta.

In occasione della stesura del discorso di Berlusconi alle Nazioni Unite, arrivarono diversi contributi al «Mattinale»: appunti, suggerimenti e una relazione della Farnesina che, però, per errore conteneva un gravissimo errore. Nella relazione che giungeva direttamente dalla segreteria del ministro degli Affari esteri, venivano confusi i numeri di coloro che morivano di fame con quelli di coloro che soffrono di fame e malnutrizione con il risultato che le cifre fornivano un quadro totalmente falsato. Nella realtà, infatti, circa 800 milioni di persone nel mondo soffrono per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di coloro che effettivamente periscono per fame ogni anno.

Se in quella occasione il ghost writer incaricato di rileggere gli appunti e costruire l’intervento del presidente del Consiglio avesse recepito gli appunti senza leggere, rileggere e verificare fonti che in teoria avrebbero già dovuto essere certe, il rischio di mandare il capo del governo italiano a dire una sciocchezza all’assemblea generale delle Nazioni Unite sarebbe stato elevatissimo. Un aneddoto che la dice lunga sulla necessità di controllare sempre le fonti.

Sui social non cedere alla cialtroneria

La comunicazione digitale è uno strumento molto importante nella vita di tutti i giorni per qualsiasi rappresentante politico o delle istituzioni. Si può comunicare online in maniera più o meno formale, instaurando un rapporto di fiducia con i propri seguaci. Sui profili social, i politici o le istituzioni possono divulgare novità, comunicati stampa, gestire le crisi, confrontarsi con i cittadini.

Negli ultimi anni, la crescita dei populismi si accompagna all’aumento del numero di “cialtroni” che utilizzano questi strumenti online non con finalità costruttiva/informativa, ma con uno scopo distruttivo (contro i migranti, contro i vaccini, contro la casta, contro contro contro…).

Un esempio emblematico? Il 30 aprile 2018, all’indomani della giornata di Serie A che aveva di fatto compromesso la corsa allo scudetto da parte del Napoli Calcio, a poche ore dalla partita Juventus-Inter, caratterizzata da episodi molto discussi, il sindaco partenopeo Luigi de Magistris ha postato questo aggiornamento sulla sua pagina Facebook:

«Sono orgogliosamente napoletano sempre, nella gioia e nel dolore, con i nostri difetti ed i nostri pregi. La nostra Città e il popolo napoletano sono stanchi delle ingiustizie. Ci riprenderemo tutto quello che ci avete levato, conquisteremo quello che ci spetta. Nulla di più di ciò di cui abbiamo diritto. La differenza tra Noi e quelli che usurpano i nostri diritti è che Noi comunque viviamo perchè amiamo ed abbiamo un cuore grande e profonda umanità, loro invece si sentono forti e potenti rubando, con furti di Stato o di Calcio. Il maltolto ce lo riprenderemo tutto, senza lamentele e senza cappello in mano, con la schiena dritta e con la lotta. La nostra dignità non ha prezzo, la nostra sete di giustizia è vasta e profonda. Uniti si vince, abbattendo i palazzi dei poteri corrotti, conquistando i nostri traguardi. W Napoli !!». Non c’è prova di “furti” da parte della Juventus, De Magistris evidentemente …. dei fenomeni di violenza estrema che caratterizzano il mondo del calcio, evoca demoni che una volta scatenati possono produrre danni e disastri.

Insomma il sindaco, figura istituzionale di rilevanza, nonché ex magistrato, aizza il popolo napoletano contro i “poteri forti”, minacciando di abbattere i palazzi dei poteri corrotti, parlando di “furti di Stato e di Calcio” e riferendosi a un “maltolto”. Un invito ai concittadini che, secondo de Magistris, dovrebbero ribellarsi contro gli ordini costituiti, risvegliando un’antica faida tra nord e sud. Ma utilizzando frasi ed espressioni del genere si può portare anche contro la propria volontà, ma per irresponsabilità, la competizione sportiva sul piano della guerra civile. Un diversivo per un sindaco che deve nascondere, sotto il populismo calcistico, il dissesto finanziario e l’impoverimento della città di Napoli.

Fonte: Linkiesta

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