Pd, quattro primarie a confronto e quella partecipazione sempre alta al Sud

Pd, quattro primarie a confronto e quella partecipazione sempre alta al Sud

Questioni primarie / In vista della scelta da parte dei cittadini-elettori del nuovo segretario del Partito democratico, analizziamo la distribuzione territoriale del voto. Con il meridione e le isole che storicamente votano più del Nord.

on c’è dubbio che le elezioni primarie per la selezione del segretario del Pd abbiano rappresentato sia un tentativo di rianimare l’interesse per la politica e la partecipazione di simpatizzanti e militanti da parte delle élite di centrosinistra sia un mezzo per sanare degli scontri interni al partito soprattutto rispetto al problema della selezione della leadership.

Un problema che contribuisce, assieme ad alcune scelte programmatiche specifiche, a produrre continue fratture nel Pd e ad alimentare la disaffezione dei potenziali elettori di centrosinistra. Guardando nel dettaglio al livello di partecipazione delle primarie dal 2007 al 2017 appare evidente che l’interesse verso questo evento, che costituisce una caratteristica fondante e distintiva del partito nato ormai dodici anni fa, sia man mano scemato.

Infatti, le primarie del 2007 che incoronarono Walter Veltroni portarono alle urne ben 3.554.169 selettori, le successive del 2009, vinte da Pier Luigi Bersani, registrarono un lieve calo: 3.102.709 selettori. Nel 2013, quando il candidato segretario più votato fu Matteo Renzi, i 3 milioni di voti non furono raggiunti, infatti i votanti furono 2.815.001.

Tuttavia, non c’è dubbio che fino ad oggi, siano state le primarie del 2017, vinte di nuovo da Matteo Renzi, a rappresentare il punto più basso in termini di voti, ovvero quasi un milione di partecipanti in meno rispetto al 2013, appena 1.838.938 votanti.

In attesa di analizzare i dati relativi alla partecipazione di queste nuove primarie indette per il 3 marzo 2019, vale la pena comparare il tasso di partecipazione e il voto ai diversi candidati nel 2013 e nel 2017 attraverso la lente della territorializzazione del voto.

Le primarie per la selezione del segretario fino al 2009 avevano registrato una situazione abbastanza peculiare ovvero una quota importante di partecipanti si collocava, come era prevedibile, nella cosiddetta ex zona rossa (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche), tuttavia il maggior tasso di partecipazione si registrava al Sud e nelle Isole. Al Nord invece la partecipazione era di fatto abbastanza tiepida (tra il 22% e il 24%).

Nel 2013, se la situazione rimaneva stabile al Nord, al Sud il tasso di partecipazione calava bruscamente, mentre il Centro Italia diventava l’area con la maggiore capacità di mobilitazione per il Pd. In particolare, se nel calcolo delle percentuali si tiene al denominatore la media dei voti presi dal Pd in ogni regione nelle elezioni politiche del 2008 e del 2013, le primarie del 2013 evidenziavano un allineamento tra Nord e Sud del paese in termini di partecipazione, con valori intorno al 23-24%, mentre ben il 36,5 dei votanti si situava nella ex zona rossa.

Le primarie del 2017 invece, dal punto di vista della partecipazione, hanno sancito un ritorno allo schema tradizionale con un tasso maggiore al Sud (20,5%) che superava di poco la partecipazione al Centro (19,4%) e una forte contrazione al Nord in particolare a Nord-est con appena l’11,9% di votanti.

Venendo invece ai risultati del voto, Matteo Renzi sia nel 2013 che nel 2017 è stato il candidato più votato (rispettivamente con il 67,6% e con il 69,2%), con uno scarto rispetto al secondo candidato pari ad oltre 49 punti percentuali in entrambe le occasioni. Nonostante nel 2017 abbia perso quasi 640 mila voti rispetto al 2013.

Guardando i risultati del voto per aree territoriali, appare evidente che la roccaforte renziana sia stata l’ex zona rossa, dove le preferenze per Renzi sono state pari al 74,8% nel 2013 e al 77% nel 2017. In entrambe le occasioni Renzi ha avuto maggiori problemi di consenso soprattutto al Sud e nelle Isole. Mentre al Nord si assisteva a un’inversione di tendenza, infatti se nel 2013 Renzi riusciva a recuperare più consensi a Nord-est (68,2%) rispetto al Nord-ovest (66,3%) nel 2017 è stato vero il contrario, (ovvero 74,26% a Nord-ovest e 71,9% a Nord-est).

È interessante notare che nel 2013 sia Gianni Cuperlo che Giuseppe Civati registrarono le loro peggiori performance nell’ex area rossa, mentre le migliori performance per il primo furono nel Mezzogiorno (25,7%), in particolare in Calabria, Basilicata e Campania, mentre per il secondo nel Nord-ovest (18,1%) in particolare in Valle D’Aosta e in Lombardia.

Nel 2017 Andrea Orlando e Michele Emiliano invece hanno ottenuto dei risultati speculari ovvero le migliori performance del primo corrispondono alle peggiori del secondo e viceversa. Infatti, mentre Orlando ottenne il maggior numero di preferenze a Nord-ovest (23,6%), in particolare in Liguria (34,5%) e il minor numero di voti al Sud (18,4%), Emiliano otteneva più preferenze al Sud (20%), in particolare in Puglia (54,4%) e meno a Nord-ovest (2,2%).

Il prossimo appuntamento del 3 marzo sarà interessante per due ragioni: da un lato, vedremo se il tasso di partecipazione sarà pari o di poco inferiore a quello del 2017 e se lo schema tradizionale che registra una prevalenza della mobilitazione al Sud e al Centro verrà confermato. D’altro lato, vedremo come sarà la performance della corrente renziana dentro al PD senza la candidatura di Renzi.

Fonte: Questioni Primarie. Autore: Selena Grimaldi

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