Grande Inverno ha tenuto e gli Estranei non hanno sfondato.
Si sprecano le metafore nelle ultime ore e questo testimonia l’importanza nazionale della competizione in Emilia Romagna e la profondità di una sconfitta che Matteo Salvini è andato a cercarsi volontariamente e della quale è il principale artefice.
Se non ricordo male, il primo fu Bettino Craxi nel 1991, quando riuscì a trasformare un referendum che non interessava a nessuno in un plebiscito su sé stesso e ne venne travolto. Altri dopo di lui fecero errori analoghi – Massimo D’Alema nel 2000, Matteo Renzi nel 2016 – pertanto se Salvini avesse passato meno tempo a insolentire privati cittadini al citofono e più tempo con lo smartphone spento a studiare la storia della Repubblica avrebbe scoperto che chi personalizza una competizione elettorale alla fine è facile che perda.
La vittoria ha molti padri si dice. E così è. Il buon governo di Stefano Bonaccini, il movimentismo ittico delle Sardine, la realtà di un partito ancora radicato sul territorio come il PD, la forza della tradizione e di una cultura di partecipazione democratica con basi civiche prima ancora che politiche hanno concorso a produrre il più classico dei risultati: in Emilia Romagna vince la Sinistra e il PD è il primo partito. Una non-notizia, in teoria.
Eppure il risultato non era scontato, checché ne dicano oggi molti commentatori. Grande Inverno era sotto assedio già da tempo… Nel 1999 la sconfitta a Bologna ad opera di Giorgio Guazzaloca (un gentiluomo alla Lord Grantham, paragonato alla destra di oggi), i primi scricchiolii nelle Politiche del 2001 e soprattutto del 2008, quando il centrodestra risultò competitivo in 4 province su 9 (mentre una sola nel 2006), poi l’apparizione del M5S e la perdita di Parma (2012), fino al disastro delle Politiche 2018, con il PD relegato a secondo partito (dopo il M5S) e il centrosinistra a seconda coalizione (dopo il centrodestra). Insomma, come ricorda oggi anche Salvini, la conquista dell’Emilia Romagna sarà solo questione di tempo, se il centrosinistra (il PD in particolare) non capiscono la lezione che esce dalle urne: meno chiacchiere e più buongoverno, meno talk-show e più presenza nella società, meno correnti e più partito vero.
Matteo Salvini invece assaggia il sapore della polvere. Anche qui sbagliano i commentatori che parlano di “prima sconfitta” perché in realtà è la seconda, non si deve infatti dimenticare il fallimento del “putsch del chiosco bibite”, il tentato golpe del Papeete, quando il leader leghista – gonfio, truce e a torso nudo – straparlava di “pieni poteri” e pretendeva le elezioni anticipate per fare piazza pulita di chiunque si opponesse al suo volere.
Si potrebbe replicare che sono cose diverse, ieri c’è stato un voto popolare e ad agosto no. Vero, ma ci sono però dei comportamenti comuni. Posto sotto stress Matteo Salvini si dimostra incapace di dominare le oscure pulsioni che lo animano, di costruire una tattica razionale, di costruire politica, di fare squadra. Nel dubbio prende sempre la via più estrema, più violenta, più divisiva e questo – nelle società complesse – non sempre paga.
Una campagna elettorale interminabile, con lui unico protagonista. La sua candidata alla presidenza relegata al ruolo di saltuaria velina, la coalizione che non appare, lui in ogni manifesto, in ogni spot, in ogni tweet. Lui e solo lui. Lui e sempre lui. La realtà dell’Emilia Romagna totalmente ignorata, la conoscenza del territorio e della sua storia prossima allo zero, basti vedere quello che è accaduto a Bibbiano.
L’estrema destra – sempre pronta a invocare il “garantismo” e condannare il “giustizialismo” quando si tratta di difendere qualcuno della sua squadra – ha descritto una rete capillare politico-malavitosa fatta di bambini rubati, vittime di lavaggio del cervello, torturati con gli elettroshock… Insomma una realtà spaventosa che non trova riscontro nell’inchiesta in corso e che non consente – come invece fatto da Salvini – di gettare fango su un intero sistema socio-educativo. Questa è la non-conoscenza del territorio: infangare gli asili di Reggio Emilia non è infangare il PD, ma un’intera concezione di comunità, di vita sociale che trascende la politica e che solo chi è molto stupido o molto ignorante poteva fare. Sarebbe un po’ come voler venire nel mio Friuli e insultare la Ricostruzione post-terremoto, vero vanto civile prima ancora che politico.
Insomma, Salvini ha saputo conquistare molti voti nel 2018 e nel 2019, ma non ha ancora capito che cosa vuol fare di quel consenso. Vuole utilizzarlo per instaurare un regime personale oppure metterlo a disposizione di un progetto politico più profondo, che resti però dentro i binari della democrazia rappresentativa? La mia sensazione è che a Salvini – come al dottor Stranamore di Kubrick – troppo spesso “parta il braccio”, emerga cioè la sua natura refrattaria al dialogo, alla mitezza del potere e ai limiti che questa comporta, la sua idiosincrasia per il ragionamento complesso e la capacità di approcciarsi con la dovuta cautela ai problemi di una grande democrazia post-industriale come quella italiana e questo lo porta a sostituire la politica con la propaganda, sempre e comunque.
Diceva Napoleone che con le baionette si possono fare tante cose, ma non certo sedercisi sopra e lo stesso vale per i voti. Oggi i voti ci sono e sono tanti. Ma domani? Se solo il governicchio Conte dovesse iniziare a dare segni di vita, se solo l’autoriforma del Partito Democratico dovesse produrre qualcosa, se solo le elezioni regionali della prossima primavera dimostreranno che esiste un tentativo vero di opposizione alla destra estremista, allora l’iceberg salviniano potrebbe iniziare a sciogliersi.
Nessuno può pensare di sopravvivere politicamente solo suonando ai citofoni fino al 2023.
Marco Cucchini | Poli@rchia (c)