Enrico Letta parla molto di scuola e fa bene. L’istruzione universale e gratuita è una delle grandi conquiste della Storia umana e troppo spesso ci si dimentica di rivendicarla e difenderla, vedendo nella scuola essenzialmente – a seconda dei momenti – un problema da ignorare, un bacino di voti da spremere, un settore da tagliare o una dimensione morale sulla quale costruire facili retoriche, alle quali raramente seguono i fatti.
Il tema è l’obbligo scolastico fino a 18 anni. D’istinto direi che sono favorevole, molto favorevole. In una società sempre più complessa, sempre più tecnologicamente avanzata, che richiede competenze sempre più articolate (si pensi – banalmente – a cosa significava fare l’elettrauto negli anni ’80 oppure oggi, con l’apparato digitale complicatissimo di ogni automobile, anche la più scrausa) il tema deve essere “più scuola” non certo “meno scuola”.
E qui – per me – iniziano i problemi. Quale scuola? La scuola dei “progetti”? La scuola del “PCTO”? La scuola del “ogni scusa è buona pur di non far fare lezione”? La scuola del “per carità, niente voti che i ragazzi si inibiscono, niente disciplina che i ragazzi si sentono repressi, niente argomenti complessi che i ragazzi si sentono annoiati, niente bocciature che i ragazzi si traumatizzano”.
Nella mia esperienza (individuale e non rappresentativa) ho notato spesso un salto di qualità tra la seconda e la terza. Un salto che sintetizzo così: “fino ad ora siamo stati indulgenti perché eravate nell’obbligo scolastico, ma da quest’anno, la Repubblica ha assolto al proprio dovere, se venite a scuola non è perché siete obbligati, ma per scelta e quindi dovete essere conseguenti”. L’uscita dall’obbligo scolastico (il primo biennio) e l’ingresso nella fase della ”libera scelta” è – a suo modo – un rito di passaggio e una assunzione di responsabilità.
Non vorrei che un obbligo prolungato ai 18 anni, invece di significare “più scuola” significasse solo “più lassismo, più indulgenza”. Un popolo in cui sono tutti diplomati va bene, purché il diploma serva a qualcosa. Purchè il diploma non sia un atto dovuto, come lo è l’atto di nascita.
Perché se la scuola non forma, se la scuola non da competenze per salire l’ascensore sociale, allora conteranno sempre di più altre cose: il denaro, la famiglia, le conoscenze. Insomma, la solita vecchia Italia vittimista e familista.
Autore: Marco Cucchini (C)